In senso stretto, la storia della filosofia si gioca in un fazzoletto di terra: tra Elea e Atene, da Parmenide a Platone. Il primo pone la “questione dell’essere”: l’essere si rivela nella sua interezza nel pensiero; il secondo smuove la unicità marmorea dell’essere e lo rende predicabile ossia dicibile. Ciò che viene dopo, compreso Aristotele, è un commento a Platone e a come si dice l’essere. Con un’eccezione che è rappresentata dal significato della storia della filosofia moderna: se con i Greci il pensiero è come se fosse accidentale o ingenuo, con i moderni il pensiero è necessario e consapevole della sua natura mediatrice: l’essere si manifesta nel pensiero come storia. Parmenide e Platone sono il primo tempo della partita. Hegel e l’idealismo italiano il secondo tempo. Il sapere assoluto hegeliano variamente interpretato ispira più della metà del pensiero contemporaneo.
L’essere di Parmenide è uno. Talmente uno che dice solo sé e nega la possibilità di dire le cose rifugiate nell’illusione. Ma che l’essere sia uno o molteplice, identico o vario non è più un problema o un dilemma da quando Platone ha mostrato che è mobile e immobile, identico e diverso e questa sua relazione è la condizione di possibilità del giudizio che lo qualifica nella sua diversa identità. Parmenide rivela l’essere ma uccide il mondo. Platone ripensa l’essere e salva il mondo.
Dunque, che l’essere sia sempre se stesso, compatto ed eterno o che sia bacato e bucato dal nulla che lo vanifica è questione irrilevante o superata giacché l’essere non è nelle mani dell’uomo e l’uomo si limita a ri-conoscerlo con il giudizio che lo predica o qualifica. Il pensiero dell’essere – la vita pensata – è necessario per vivere, ma anche l’abbandono all’essere – la vita vissuta – è necessario per vivere. Il pensiero dell’essere pur essendo un bisogno di luce non è un rimedio totale alla condizione mortale. Il pensiero porta luce nel pensiero e aiuta la vita ma la vita ha una dimensione tragica che il pensiero non supera ma aiuta ad accettare. L’essere con cui ha a che fare il giudizio non è astratto o indeterminato ma vitale, storico e concreto, quiete e movimento, identità e diversità come ha chiarito Platone per “uccidere” Parmenide e confutare la sofistica. Ma il tragico né si uccide né si confuta, si addolcisce. Il pensiero chiarisce ma non consola. La vita si consola con la vita.
L’essere e il nulla indeterminati e separati sono, alla maniera di Hegel, due astrattezze. Croce fa cadere le astrattezze che sono vacuità – l’astratto è l’estratto – perché la messa in moto del pensiero è la sensibile intuizione dell’essere-determinato. Il pensiero è sensibile, sensuale e sensato per sua natura e pensa l’essere e il nulla nella radice vitale in cui l’essere e il nulla non sono indeterminati ma determinati, identici e diversi. Il pensiero dell’essere (e del nulla) è storico. L’essere e il nulla, che sono veri e reali solo nel divenire in cui conservano ed elevano la concreta identica diversità, istituiscono la storia.
Il principio di non contraddizione esercitato sull’essere indeterminato conduce inevitabilmente all’uno e taglia fuori il mondo molteplice dell’esperienza. Il principio e l’esperienza vanno tenuti insieme per evitare due estremi che si escludono: l’uno senza i molti, i molti senza l’uno; l’essere senza l’esperienza, l’esperienza senza l’essere; la verità senza la libertà, la libertà senza la verità. Il principio aristotelico – riformulazione dell’essere eleatico – non va, dunque, esercitato sul piano di un’astratta logica ma sul piano della vita. L’essere propriamente è il ri-conoscimento della vita umana dei mortali. L’essere è storia.
Il pensiero rivela l’essere e, preso fino in fondo, il pensiero è il dovere verso la vita. Il pensiero dell’essere è la possibilità che l’uomo si dà di governarsi. La filosofia, cioè il pensiero dell’essere, non è mai accademia: è governo dell’esistenza. Il pensiero è risposta alla vita per vivere. La verità è un rimedio al male di vivere che, per esperienza ed errore, non va trasformato in un male peggiore del male. Al di là e al di qua dell’essere pensato c’è il mito o c’è il fato in cui l’uomo è consegnato a forze oscure. A volte accade – anche nella modernità e soprattutto nella modernità – ma ciò non è un buon motivo per rinunciare a pensare l’essere e consegnarsi all’essere mitico o all’essere fatale; semmai è il contrario.
L’essere è il senso greco del divenire. Quando il mito perde forza e si esaurisce, appare il divenire della vita che vive e si annulla. Il divenire non è qualcosa di scontato, infatti. L’essere ci permette di conoscere il divenire e porvi un rimedio accettabile. L’essere è il divenire sensato. Al pensiero si rivela la realtà che è l’insieme delle cose che sono oltre le quali non c’è niente.
Non è detto che il pensiero dell’essere debba sempre essere. Come è sorto, potrebbe tramontare. Potrebbe essere ripreso o risucchiato dal mito. Come se fosse un’appendice della storia del mito.