La cultura degli italiani influisce sull’attività di governo. E’ inevitabile. Per fortuna. Purtroppo, vi influisce – qualunque sia il governo – negativamente. Gli italiani chiedono, urlando, il cambiamento. In realtà, nessuno vuole cambiare nulla. La massima di Tomasi di Lampedusa – tutto deve cambiare affinché nulla cambi – è una bandiera nazionale che si affianca a quella di Longanesi: “Tengo famiglia”. Il cambiamento è interpretato dagli italiani non come superamento del passato ma come sua riproposizione, non come innovazione ma come perpetuazione. Il problema italiano è il dimagrimento dello Stato ma il cambiamento immaginato dagli italiani chiede sempre un aumento delle funzioni statali con il duplice danno: per lo Stato che così viene meno ai suoi compiti specifici e per le libertà civili che sono mortificate e annullate. Il governo – qualunque governo – si trova stretto in questa contraddizione che non prova neanche a sciogliere e assume come norma di condotta. Lo Stato italiano, cresciuto a dismisura fino a diventare un mostro sovietico in terra d’Occidente, è oggi un dio morente.
Quel diavolo di Hobbes definì lo Stato “dio mortale”: è un dio perché sovrumano, è mortale perché può morire come gli uomini. Lo Stato italiano non solo è mortale ma è morente. Il dio morente italiano è figlio di due culture che non hanno al loro centro la libertà ma la dipendenza: la cattolica e la comunista. Entrambe credono che l’uomo si salvi grazie a un’istituzione. Per il cattolicesimo l’istituzione salvifica è la Chiesa, per il comunismo è il Partito. La Dc – lo Stato-mamma – e il Pci – l’ultimo dio – hanno conquistato lo Stato italiano e lo hanno sostituito alle loro stesse istituzioni d’origine. L’ansia di salvezza cattolica e comunista è stata trasferita tutta sullo Stato che è diventato una chiesa secolare che ha accompagnato gli italiani dalla culla alla tomba. I due partiti di massa hanno intercettato l’anima più profonda degli italiani che è quella di essere un po’ servi e un po’ anarchici. La Dc e il Pci sono defunti ma le loro culture avvelenate hanno lasciato convincimenti, abiti e interessi che sono oggi la vera unità d’Italia: l’individualismo statalista. Si tratta di un’ideologia molto comoda perché, come diceva Saverio Vertone, permette di fare i propri porci comodi con l’intimo convincimento di svolgere un lavoro di pubblica utilità.
Indro Montanelli nel suo ultimo libro scrisse che non è il potere che corrompe gli italiani ma sono gli italiani che corrompono il potere. E’ una frase terribile. Accusa gli italiani di essere tutti mafiosi e di vanificare tutto in nome e per conto delle loro famiglie che non sono solo politiche ma prima di tutto professionali, sindacali, accademiche, burocratiche. La corruzione – che non è solo quella delle bustarelle che, sia detto, è la minore – è il vero sistema di governo perché è la più autentica metafisica dei costumi italiani. La corruzione maggiore – la madre delle corruttele – nasce quando si chiama a gran voce lo Stato ad entrare là dove non deve entrare: il lavoro, l’impresa, la scuola. E’ qui che il potere nasce corrotto. Con l’appello dei diritti si tralasciano i doveri. Con la richiesta di tutele si nega la libertà. Si nutre l’ipocrita illusione della corrispondenza tra i titoli di studio e mansioni e professioni. La società italiana è tutta costituita da ordini professionali – corporazioni – e da società pubbliche – carrozzoni – che sono una indebita emanazione di uno Stato che non essendo più sostenuto dal lavoro produttivo e dalle intelligenze libere è, appunto, un dio che muore. Crepa con il suo stesso farmaco statalista diventato veleno. Giacché uno Stato che è chiamato a garantire ciò che per sua natura non può essere garantito – la libertà e il lavoro – è di per sé un potere corrotto. Nessuno, giammai il governo Renzi, è in grado di riformarlo perché nessuno vuole invertire l’ordine dei fattori: è lo Stato che nasce dal lavoro e non il lavoro che nasce dallo Stato, è la libertà che crea lo Stato e non lo Stato che crea libertà. Non invertendo l’ordine, ogni riforma peggiora e non migliora né le cose dello Stato né lo stato delle cose. L’abolizione delle Province si è conclusa con l’abolizione degli elettori. La riforma del Senato si concluderà con la regionalizzazione e localizzazione di Palazzo Madama ossia con l’elevazione a istituzione della radice del debito italiano. Il principio della riforma dello Stato è rifiutato dagli stessi italiani che invocano il cambiamento. Gli dei hanno sete diceva Anatole France. Gli dei morenti ne hanno di più.