di Antonio Medici
Non mi piace stroncare ristoranti, tanto più se operano in territori difficili e sono gestiti da giovani. Un giudizio negativo, anche di un gaglioffo come me, può causare danni economici e quindi esistenziali a persone che in buona fede cercano di sbarcare il lunario.
Provo, così, a raccontare un’esperienza negativa senza far nomi, affinché buon intenditori possano trarne riflessioni utili.
Iniziamo dal principio, dall’aspetto. Villetta di nuova costruzione di colore rosso pompeiano, al telefono definito come rosa, lavori sospesi, atmosfera di scomoda precarietà.
Arredo “tutti gli stili”, menù orale, carta dei vini anche, tra l’altro ristrettissima ed in parte imprecisata: “poi ci sono delle riserve”. Quali, non è dato sapere. Le guide ci sono tutte, però.
Il pane è molto buono, solo il pane.
La pennetta al sugo per la sfortunata bimba che siede al mio tavolo viene servita dopo l’antipasto di affettati per i più grandi. Monsieur chef Le Diable, con franchezza, queste sono crudeltà inutili, non le si ostentano così, a digiuno. Le pennette prima di tutto. Dovrebbe esser facile.
Veniamo, però, al sodo ed anche al sodio.
Il sugo fresco, quello base per i bambini, era salato assai.
“Il capocollo, il lardo e il guanciale sono nostri, la marchigiana la mariniamo noi, il prosciutto è Parma”, lo affettiamo noi. No, questo non l’ha detto ma ci è mancato poco. Che senso ha, comunque, quest’accozzaglia di provenienze? Non si comprende se si punti sul “nostrano” o sulla qualità di qualsiasi provenienza. Il Parma, inutile, e la marchigiana, marinata male, fanno solo volume. Che far volume sia il senso dell’accozzaglia? Possibile ma incongruo, anche perché è balzata all’occhio e rimasta ben impressa nella memoria la differenza tra il minipiatto usato per le micro porzioni di salumi “nostrani” ed il maxipiatto dimensione pizza su cui erano stese fette e fette di anonimo prosciutto.
Maledetto e fatale giunge il tempo dei primi.
Scialatielli ai pomodorini caramellati e caciocavallo. La grammatica innanzitutto, in italiano come in cucina mai confondere sostantivo e aggettivo, sostanza e complemento. Caramellati è aggettivo qualificativo di pomodorini, non è la stessa cosa dire e soprattutto servire caramelline al gusto di pomodorini. Una taratura della manina per l’uso di zucchero e sale mi sentirei di prescriverla a Le Diable, come priorità.
Risotto al torrone. La sola idea di questo piatto, sinché non l’ho assaggiato, mi ha indotto alla benevolenza. Ho provato a difendere il diabolico Le Diable dalla severità dei miei commensali per uno smisurato ed astratto apprezzamento di un piatto, il cui solo ardito concepimento mi pareva indizio di maestria tecnica e mano capace di gestire l’equilibrio gustativo in microgrammi. Ed invece quel risotto racconta un’ambizione senza ritegno, senza misura e senza sostegno. Che caos al palato. Il bruciore, innanzitutto, di una salamoia. Piano col sale, Le Diable. Magari si potrebbe largheggiare con le nocciole, presenti in scarsi microgranuli. Al centro del piatto, semiannegato nel risotto, eretto e frastagliato come un iceberg, un pezzo di torrone iper aromatizzato con ogni ben di dio di spezie dolci e per finire foglioline senza profumo. Ogni forchettata un sapore diverso ma sempre letale, ora per la salamoia ora per la stucchevolezza della pasta di torrone sciolta.
A questo punto aver escluso “L’Inferno”, come ho ribattezzato il ristorante ove tutto ciò che sto raccontando si è svolto, dalla guida per la cui redazione ero in missione è stato un atto di pura generosità.
La “manzetta prussiana” su pietra ollare è stata gustosa. E guarda caso è il piatto in cui lo chef meno ha potuto incidere. Un pezzo di carne buona, acquistata sottovuoto, aperta ed arrostita.
Messaggio conclusivo e due suggerimenti per tutti gli chef Le Diable a piede libero: il paradiso non vi attende ma in purgatorio potreste trovar spazio. Basta poco: 1) coerenza, definite una tipologia di menù e seguitela senza sobbalzi tra km zero e km illimitato, nostrano e non; 2) sincerità: ponderate le vostre abilità e sappiate che è meglio una buona pasta al ragù che un risotto al torrone fatto male.
Questa tappa dell’Odissea è stata dura, riprendo il mare a fatica.