di Giancristiano Desiderio
Io vivo con mia madre. Da sola mamma non può vivere. Mamma da sola muore. Ha una malattia rarissima, talmente rara che non ha neanche un nome. I medici l’hanno identificata come parkinsonismo. In concreto: il cervello si rimpicciolisce, degenera, si spegne giorno dopo giorno e tutto il corpo progressivamente diventa legnoso. Si è ammalata quando è morto papà. Succede. Io da solo non potrei assistere mamma che, per fortuna, ha altri due figli: Giorgio e Dario che, a differenza di me, sono bravi e utili. Insieme, quando quasi cinque anni fa la bestia ha afferrato il cervello di mamma, ci siamo dati da fare: visite, ricoveri, specialisti. Sempre lo stesso esito: degenerazione cortico-basale irreversibile e senza cura. Io, Giorgio e Dario abbiamo assicurato a mamma sempre un’assistenza: ci sono tre persone – tre donne – che si alternano nell’arco del giorno e della notte. C’è un’infermiera che medica la ferita del sondino. Una fisioterapista. Veniva anche una logopedista ma la cura è stata annullata. C’è la sorella che non fa mancare il suo appoggio. Ognuno fa la sua parte. Soprattutto da quando, nello scorso dicembre, mamma, che non poteva deglutire neanche più le pappette, è stata operata e ha ora un sondino nello stomaco e, nel letto dove si trova stabilmente, è alimentata attraverso una pompa elettronica, con cibo artificiale. E’ praticamente immobile e non comunica se non con il dolore. Questa situazione è nota a tutti. Tranne che a un soggetto che finge di non sapere: lo Stato nelle vesti specifiche dell’Inps.
Quasi due anni fa facemmo richiesta per il riconoscimento dell’invalidità civile. Dopo mesi fummo convocati all’Inps di Benevento per la visita. Mamma già era sulla sedia a rotelle ma la portammo. Fu identificata ma non visitata. I medici-burocrati erano dietro un computer e inserivano i dati di mamma che già non era più in grado di rispondere alle domande. Tutta la documentazione in nostro possesso passò nel computer dell’Inps. Lì, lì dentro, mia madre esiste, ma solo lì. Come persona, come malata, persino come pensionata che ha trascorso tutta una vita al servizio dello Stato – era maestra elementare – non esiste. Dopo aver passato la visita all’Inps, mia madre è stata, su un’altra sedia a rotelle, all’Asl per un’ulteriore visita. Stessa scena: medici-burocrati dietro il computer che inseriscono dati e che non visitano la paziente. Alla fine a mamma è stata riconosciuta l’invalidità ma con revisione. Vale a dire: nonostante la malattia sia degenerativa – peggiora progressivamente e non migliora mai – mia madre deve passare altre visite per verificare se la sua condizione le dà diritto al cosiddetto accompagnamento – euro 500 – o no.
Il 15 maggio riceviamo una lettera dall’Inps che dice: entro il 30 aprile, presso il centro medico legale Inps, va fatta la visita per la revisione. Faccio presente l’assurdità ad una cara amica che lavora all’Inps che, poverina, anche lei rimane con gli occhi fuori dalle orbite. Passano pochi giorni e subito viene ritirato l’accompagnamento. Mia madre pur essendo malata e pur avendo una malattia degenerativa che la invalida totalmente – mamma ha poco più di 70 anni – è privata del contributo. Il buon senso e perfino la legge vuole che prima si faccia la visita e poi, eventualmente, si tolga l’accompagnamento. Qui accade il contrario. Che fare? E’ necessario far visitare mamma. E’ facile dirlo ma difficile farlo. Perché la richiesta della visita va fatta attraverso il medico di base e per via telematica. Sembra una garanzia di diritto e di velocità. E’ garanzia di oscurità e lungaggini. L’interlocutore – lo Stato-Inps – è ignoto. Non si manifesta mai. E’ una sorta di Leviatano invisibile con il quale si lotta invano. Nessuno avverte. Nessuno dice nulla. Neanche per dire non abbiamo ricevuto la vostra richiesta, come purtroppo accadde la volta precedente. Nulla di nulla. Però, attraverso la mia amica riesco a sapere che il giorno 4 luglio arriverà a casa la visita. Così il 4 luglio arrivano alle 13 due giovani che si presentano come medici legali dell’Inps. Non hanno con sé nulla. Solo una penna scassata. Chiedono di vedere mamma? No. Chiedono carte, carte, carte e solo carte. Gliele fornisco: referti, cartelle cliniche, visite, analisi. Ma vogliono sempre una carta che non c’è. Persino il verbale per i pannoloni. Faccio presente loro che mamma non è migliorata ma peggiorata e che a dicembre le è stata posizione una Peg nello stomaco in un ospedale pubblico – il Rummo di Benevento – e basterebbe un semplice dialogo tra Inps e Azienda ospedaliera per risolvere tutto, ma rispondono con lo scaricabarile: “Roma così vuole”. Prendono i documenti e vanno via. Senza un verbale, senza un nome, senza nulla.
Passano poco più di dieci giorni e, senza che nulla sappia, arriva un’altra visita. Questa volta è un signore di mezza età con giacca e cravatta. Stessa scena: carte, carte, carte. Gli dico che solo due settimane prima sono venuti due suoi colleghi. Cade dalle nuvole. Telefona e poi dice che si tratta di visite diverse e io mi chiedo quanti siano gli Stati con cui ho a che fare. Gli dico che le carte che cerca le hanno prese gli altri. Scartabella, scartabella e trova dei documenti utili. Gli faccio le fotocopie dicendogli che la cosa più importante è visitare mamma perché la condizione in cui versa è il documento più valido e oggettivo. Ma la guarderà appena. Prima di andare via gli chiedo il nome. Mi dice: “Non sono tenuto a rispondere”. Gli dico: “Guardi che lei è a casa mia e rappresenta lo Stato e se lo Stato entra qui io ho il diritto di chiedergli nome e cognome”.
Perché racconto questa storia? Per dire che mia madre è vittima di un incivile abuso perpetrato da chi dovrebbe aiutarla. Per fortuna ha tre figli che la difendono e lottano, ma chi non ha nessuno come fa? Si ritrova in completa balia di uno Stato-Inps che arriva e fa il padrone di casa. Ma non accadrà più: la prossima volta non li farò entrare. Lo Stato-Inps incivile che offende gli indifesi deve stare fuori da casa mia e lasciare in pace mia madre.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 20 luglio 2014
Tutto questo assurdo teatro kafkiano avviene a causa dei tanti, troppi filibustieri che hanno truffato lo Stato e tutti noi cittadini-contribuenti con le finte invalidità. E’ un meccanismo di difesa dello Stato, che potrà sembrare assurdo e/o estremo ma purtroppo è un meccanismo; quindi, con tutto il necessario rispetto per il caso di specie, cerchi di prendersela con i suoi cari concittadini italiani che hanno truffato lo Stato ,più che con quelli che lei chiama “medici-burocrati”. Un sincero augurio di ogni bene a sua mamma. Distinti saluti. Un cittadino
E no Pino. Lo stato funziona così: non punisce che viola la legge, rende le leggi più severe, ma solo per coloro che già le rispettavano. Sono in una situazione analoga a Milano e ti faccio qualche esempio: qualche hanno fa il figlio di uno stilista, andando ai 260 in tangeziale e si è ammazzato. Non hanno detto una parola su chi viola la legge: hanno abbassato i limiti da 130 a 110, perchè questo ovviamente terrorizza chi va a 260.
Fatto di cronaca di qualche mese fa, nelle metropolitane di Roma, muore un bambino che viene trasportato al volo da un ascensore ad un altro, contrariamente a qualunque misura di sicurezza. Colpa di chi non ha rispettato la legge! No… il sindaco tuona: bisogna fare delle leggi restrittive.
Le leggi diventano sempre più severe, sempre meno rispettate, sempre più oppressive per il cittadino comune che cerca di comportarsi in modo etico.
La colpa non è di chi non paga le tasse: la colpa è di chi non punisce chi non paga le tasse, ma trova più facile farne pagare di più a chi già le pagava.