di Giancristiano Desiderio
La Grande guerra è stata definita in molti modi. La definizione più famosa giunse quando il conflitto mondiale era ancora in corso: il 9 agosto 1917 Benedetto XV rivolse ai governi delle potenze in lotta un appello affinché cessasse la guerra e si ponesse fine a quella che il pontefice chiamo un’ “inutile strage”. Forse, la parola “strage” è ormai inadeguata per capire cosa fu nei fatti la guerra del 1914-18 che cambiò per sempre la cartina geografica e politica dell’Europa, sconvolse e cambiò il mondo inaugurando il secolo dei lager e dei gulag. George F. Kennan ha definito la Grande guerra “la catastrofe originaria del XX secolo”, mentre Gerhard Ritter e Andreas Hillgruber ne hanno parlato come “primo atto della distruzione d’Europa, a sua volta Michael Sturmer vi ha visto “il presagio della finis Germaniae” e Niall Ferguson “il più grande errore della storia moderna”, mentre lo storico italiano Emilio Gentile l’ha qualificata come “l’apocalisse della modernità”. La pluralità delle definizioni ci fa intuire che la prima guerra mondiale – e in quest’altra definizione è già evidente il legame con la seconda guerra mondiale, come se il secondo conflitto fosse, e lo fu, una riedizione del primo – non si lascia facilmente definire. Come se quell’Accadimento che fu la Grande guerra non si lasciasse dire nella sua verità. Non è un caso che per raccontare la guerra delle trincee e i mutamenti profondi che produsse non solo nella politica, nell’economia, nella società ma anche nella sensibilità sia necessario far ricorso a più racconti, più saperi, più esperienze. Ci viene incontro la casa editrice Il Mulino che tra novità e ristampe ha mandato in libreria cinque titoli, ognuno dei quali getta una luce nella grande caverna della Grande guerra: 1914: Attacco a Occidente di Gian Enrico Rusconi; Terra di nessuno di Eric J. Leed; Caporetto di Angelo Gatti; Il mito della Grande guerra di Mario Isnenghi; Il lutto e la memoria di Jay Winter.
La definizione di Niall Ferguson – “il più grande errore della storia moderna” – è quella più affascinante. Sembra che lasci quasi intendere che l’errore poteva essere evitato. E’ da qui che prende le mosse Gian Enrico Rusconi: si poteva evitare la prima guerra mondiale? Oppure dal duplice omicidio dell’arciduca austriaco Francesco Ferdinando e della moglie, perpetrato a Sarajevo il 28 giugno 1914 dallo studente bosniaco Gravrilo Princip, doveva necessariamente scaturire la guerra mondiale? Tutto poteva essere evitato o tutto era necessario? Vi fu una guerra prima della guerra: la guerra delle parole, delle strategie, degli scritti. Tutto o quasi era già scritto. Alfred von Schlieffen – ex capo di stato maggiore dell’esercito e autore del piano di guerra del 1914 che porta il suo nome – annotò in una sua memoria del 28 dicembre 1912: “La Germania tutta deve gettarsi su un solo nemico, su quello che è il più forte, il più potente e il più pericoloso e questo può essere soltanto l’Occidente, la Francia-Inghilterra. Il destino dell’Austria si deciderà sulla Senna, non sul Bug in Galizia”. L’attentato dell’arciduca avvenne a Sarajevo, ma la prima città presa d’assalto fu Liegi in Belgio. La Germania attaccò a Occidente per liberarsi dalla morsa nella quale si sentiva stretta tra Francia-Inghilterra e Russia. Ma, contrariamente ai convincimenti di von Schlieffen, la guerra non si decise né sulla Senna né sul Bug, bensì sulla Marna. La famosa “battaglia della Marna” interrò la guerra che divenne non una breve ma una lunga “guerra di trincea” con massacri insensati, disperati assalti per conquistare poche centinaia di metri, continui bombardamenti d’artiglieria dopo i quali, come scrisse un testimone, “non si può distinguere se il fango sia carne o se la carne sia fango”.
La guerra cambiò il carattere dei soldati che vi parteciparono. “Nessuno uscirà da questa guerra senza essere diventato una persona diversa”, scrisse in una sua lettera un volontario tedesco. Ancora: “Sono convinto che, pur tornando a casa tutt’intero, chiunque sarà diverso sotto ogni aspetto”. Non poteva essere diversamente. I soldati sotterrati vivi nelle trincee si ritrovarono in una sorta di “terra di nessuno”: le lunghe ore in trincea alimentarono nevrosi, claustrofobie, fantasie, miti. Eric J. Leed pur attingendo alla storia militare, nel suo Terra di nessuno parla del modo in cui “la guerra mutò gli uomini che vi presero parte”. L’Italia rischiò di diventare nuovamente “terra di nessuno”. Entrata impreparata nel conflitto mondiale nel maggio del 1915, due anni dopo corse il serissimo rischio di perdere non solo la guerra ma se stessa con la disfatta di Caporetto. Il diario di guerra del generale Gatti, che nel 1917 per volontà di Cadorna si trovava a dirigere l’ufficio storico del Comando supremo, è la testimonianza più autorevole su Caporetto, prima, durante e dopo. Il 24 ottobre 1917 gli austriaci e i tedeschi attaccarono sul fronte dell’Isonzo, a Plezzo ed a Tolmino. Il nemico fece uno sforzo imponente, mentre i comandi italiani furono colti di sorpresa. Rotto il fronte, gli austriaci raggiunsero il Tagliamento mentre le truppe italiane vennero sacrificate in una resistenza illogica. Invece di una ritirata si ebbe un disastro con il nemico in casa e la patria in pericolo: nella prima decade di novembre ci furono 40mila morti e feriti, 280mila prigionieri, 350mila sbandati e disertori. Poi vennero il Piave e il monte Grappa.
Gli italiani erano divisi sul da farsi. Gli italiani che prendevano parte alla politica, s’intende. Vi erano gli interventisti e i sostenitori della neutralità. Ma i due gruppi erano divisi al loro interno. Gli interventisti raggruppavano i nazionalisti, i repubblicani, i social-riformisti, gli irredentisti, i sindacalisti rivoluzionari, liberali di destra. Si voleva la guerra ma per ragioni diverse. A volte opposte. I cattolici e i socialisti erano per la neutralità. Ma la neutralità socialista era sterile e indusse Benito Mussolini a passare nel fronte interventista lasciando l’Avanti e fondando Il Popolo d’Italia. Giolitti si dimostrò il politico più assennato: “Io avevo la convinzione che la guerra sarebbe stata lunghissima. A chi mi parlava di una guerra di tre mesi rispondevo che sarebbe stata almeno di tre anni”. Oltre gli uomini politici, parlamentari e non, c’erano gli intellettuali, i filosofi, i poeti, i giornalisti, i letterati, i professori, il mondo delle riviste: Marinetti, Prezzolini, Papini, Gadda, Soffici, Jahier, Serra, Malaparte, Borgese, d’Annunzio. Alcuni partirono, altri non tornarono. Prima della guerra si voleva “un caldo bagno di sangue”, come diceva Papini, o si predicava la guerra come “igiene del mondo”, come recitavano i futuristi. Dopo la guerra furono istituiti i cimiteri militari, i riti funebri collettivi. Il lutto e la memoria è forse il libro migliore per capire la Grande guerra nella storia culturale europea: “Un libro indispensabile per la nostra comprensione della Grande guerra” secondo George L. Mosse. Come Il mito della Grande guerra di Isnenghi ci conduce dalla politica delle èlites alla società di massa. Anche questo fu la Grande guerra.