Dunque, per i pubblici ministeri – e il gup che ne ha accolto l’accusa – Clemente Mastella era, come segretario politico dell’Udeur, un capobanda e il partito un’associazione a delinquere. L’attività delinquenziale, nella quale rientrerebbero anche le assenze degli assessori regionali alle riunioni della giunta, si sarebbe svolta sotto la guida del capobanda che all’epoca dei fatti era ministro. Non un ministro qualsiasi ma, per ironia della sorte e non dei magistrati, ministro della Giustizia. Come in un mondo capovolto, il primo rappresentante della giustizia – eccezion fatta per il presidente della repubblica – era il capo di un’associazione di criminali. La definizione che Gaetano Salvemini diede di Giovanni Giolitti qui è davvero perfetta per Mastella: ministro della malavita. Con la differenza che il giudizio di Salvemini era politico, mentre quello della procura è penale. Se l’accusa sarà dimostrata – perché, ricordiamolo, sono i pubblici ministeri che devono dimostrare la colpevolezza di Mastella e non Mastella la sua innocenza – allora ci troveremo in una situazione in cui realtà e assurdità si specchieranno: il capo dello Stato avrebbe nominato – naturalmente, dobbiamo ritenere, senza saperlo – al vertice dell’amministrazione della giustizia il capo di una banda di criminali travestiti da politici. Riusciranno i magistrati ad essere alla vertiginosa altezza delle loro accuse?
L’Udeur, già morto e sepolto da un lustro, è il primo partito italiano equiparato dall’ordinamento giudiziario ad un’associazione a delinquere. La Dc e il Psi, che caddero sotto i colpi e gli avvisi di garanzia del pool di Mani pulite, non furono accusati di essere delle associazioni a delinquere. I Davigo, i Colombo, i D’Ambrosio e lo stesso Di Pietro si fermarono un passo al di qua dell’equazione “partito uguale associazione a delinquere”. Ma se oggi l’accusa è un inedito, domani potrebbe essere una norma. Non c’è dubbio che con il “caso Udeuer” la magistratura abbia fatto oggi quel passo in avanti che più di vent’anni fa la procura guidata da Francesco Saverio Borrelli evitò.
Viene in mente una storica vignetta di Vauro. Quando Antonio Gava divenne ministro degli Interni, il vignettista disegnò la scenetta in cui i malviventi entravano in un commissariato e arrestavano i poliziotti. Mastella in qualità di ministro della malavita avrebbe fatto la stessa cosa con l’aggravante che la sua azione criminale era condotta addirittura dal dicastero di via Arenula. Questo è soltanto uno degli assurdi paradossi che, sulla base delle accuse della procura di Napoli, chiedono di diventare pregiudizio, giudizio, realtà. Accade quando la politica, bella o brutta che sia, non è lasciata alla logica della sua lotta ma è giudicata sulla base del codice penale. Il cortocircuito è inevitabile e il danno maggiore del presunto bene perché non ci si ritrova in una normale procura della repubblica ma in un regime da repubblica delle procure. Tutto assurdo, a cominciare dal fatto, evidente, che Mastella non è Giolitti.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 12 aprile 2014