Con i primi freddi arrivano anche le stagionali occupazioni delle scuole. Da Napoli a Caserta passando per gli istituti dei paesi delle province, gli alunni e le alunne si organizzano, si passano la voce e occupano aule e corridoi. Sono cinquant’anni che questa abitudine, in varie forme, si ripete. E mezzo secolo è un tempo lungo, molto lungo sia per una democrazia sia per un sistema scolastico. In cinquant’anni, ossia il tempo di almeno tre generazioni, tante cose possono cambiare e sono cambiate. Ma la scuola, pur con tutte le teorie e gli slogan delle riforme possibili e impossibili, non cambia mai e ripete in modo sempre più stanco lo stucchevole rito conformista delle occupazioni che sono diventate il senso stesso della scuola: infatti, più la scuola è occupata e più è disoccupata, più è piena e più è vuota, più è statale e più è privata. Guardiamo in faccia la realtà.
I ragazzi occupano le scuole perché così si è sempre fatto. L’occupazione è una vacanza anticipata delle vacanze di Natale. I motivi per cui si occupa sono tradizionali: no alla scuola privata, sì alla scuola pubblica, niente tagli. Idee, come si vede, molto generiche che vanno bene per ogni generazione che senza studiare vuole difendere il diritto allo studio. Gli insegnanti sono disorientati e non sanno che pesci prendere perché le cose che ripetono gli studenti sono le stesse che ripetono loro in assemblee sindacali e in cortei su viale Trastevere a Roma. Eppure, basterebbe anche solo soffermarsi sulla cronaca per intuire che, ad esempio, dire “no ai tagli” mentre il debito pubblico è ben oltre il 120 per cento del Pil è un controsenso. Inoltre, non è per nulla vero che in Europa si investe nella scuola e in Italia no: è vero, invece, che da noi, per quello che è il sistema scolastico, si spende di più ma male. Quanto poi al trito e ritrito dibattito sulla scuola “privata” e “pubblica” nessun insegnante è in grado di pronunciare parole vere ai propri studenti e dire che la scuola è pubblica per definizione e, soprattutto, che il problema italiano non è quello di statalizzare il privato ma quello di liberalizzare il sistema scolastico con investimenti dei privati, delle famiglie, della società che si organizza, degli enti locali per sostenere un diritto allo studio che invece la sola gestione statale della scuola non è più capace di garantire.
Ieri mattina, alle ore 8, avevo di questi pensieri in testa mentre, seduto alla cattedra leggevo un brano di Giovanni Gentile sulla scuola e i ragazzi con la loro bella e sfacciata gioventù gridando e cantando – ci mancava solo che cantassero Giovinezza o Bella ciao – si appropriavano del liceo Manzoni di Caserta. Alcune ragazze sono entrate in classe per la lezione, ma la maggioranza è rimasta nei corridoi per la “autogestione”. Ho chiesto: “Quali sono i motivi dell’occupazione?”. Un’alunna mi ha risposto: “Boh, non lo sanno neanche loro. Dicono i tagli, la scuola pubblica e la Terra dei fuochi. La verità è che così non fanno niente”. Proprio come l’anno scorso, come dieci, venti anni fa, come l’anno che verrà.
tratto dal Corriere del Mezzogiorno del 27 novembre 2013
Caro Giancristiano, siccome è mia consolidata abitudine fare il controcanto ad alcuni tuoi articoli, non mi esimerò anche in questo caso dal farlo. Parto perciò da una tua frase ” ma quello di liberalizzare il sistema scolastico con investimenti dei privati, delle famiglie, della società che si organizza, degli enti locali per sostenere un diritto allo studio che invece la sola gestione statale della scuola non è più capace di garantire “, per sottolineare tutta la mistificazione ideologica che essa sottende. Partiamo dagli investimenti dei privati, delle famiglie ecc., essi sono già oggi ammessi dalla legislazione scolastica ma nella realtà latitano o riguardano solo casi, così sparuti, da risultare insignificanti. E sai perché? Perché i privati non trovano convenienza, come è nella loro logica, ad investire senza scopo di lucro nella scuola pubblica e le famiglie tranne quelle danarose non hanno i mezzi sufficienti da impiegare per la bisogna. Quanto allo stato, mi sembra strano che si dia per scontato che non abbia più i mezzi per gestire adeguatamente la scuola. Se si pensa che in Italia siamo tartassati ( quelli che le pagano ) dalle tasse e che ci permettiamo, per di più, di mantenere un ceto politico ( circa un milione e duecentomila persone ) tra i maggiormente pagati al mondo. Su questo ceto politico, nonostante tutte le promesse pre-elettorali, non è stato operato alcun taglio, né di ordine quantitativo, né riguardo agli emolumenti che continuano a percepire. Inoltre continuano a rubare e sprecare imperterriti i soldi pubblici che potrebbero e dovrebbero essere destinati ai settori prioritari quali istruzione e ricerca in cui siamo il fanalino tra gli stati avanzati.