“Sono addolorato. Mi è caduto il mondo addosso. Per me non c’è differenza tra gli uomini. Aiuto tutti. Porto in silenzio questa Croce. E’ una prova che il Signore vuole che affronti”. Don Carmine Schiavone è affranto. Al telefono sussurra poche parole con una sua parrocchiana che gli chiede come si sente dopo aver appreso la decisione della Diocesi di Aversa di sospenderlo. E’ sotto choc la piccola comunità della chiesa di Santa Eufemia di Carditello, piccolo paesino tra i comuni di Cardito e Frattamaggiore. La notizia che Don Carmine scrivesse lettere di sostegno e vicinanza al boss latitante Nicola Panaro poi arrestato nel 2010 lascia sgomenti. Adesso il parroco è indagato a piede libero dalla Direzione Distrettuale Antimafia per favoreggiamento.
A chi chiedeva un intervento forte da parte della Diocesi non è rimasto deluso. Il comunicato è secco e risoluto: “La comunità cristiana è rimasta sorpresa perché in questi anni ha potuto guardare con stima alla presenza del sacerdote nell’azione pastorale. Contemporaneamente esprime grande fiducia nell’opera e nel giudizio dei Magistrati che sono preposti all’indagine ed auspica si possa fare efficace chiarezza su quanto è oggi imputato al sacerdote. In attesa di un chiaro giudizio delle autorità competenti sull’imputazione, al Sacerdote Don Carmine Schiavone è stato chiesto di osservare un periodo di prudente ritiro dalle ordinarie attività pubbliche del suo ministero”.
Bocche cucite in parrocchia ma anche tanta delusione per un giovane sacerdote che si è sempre distinto per il suo lavoro di pastore. La vicenda dev’essere chiarita in sede giudiziaria. Resta il fatto che il boss Panaro esponente di vertice dei Casalesi e di spessore era latitante. Chi ha consegnato quelle lettere al boss uccel di bosco? Perché tante parole di ammirazione e ossequio verso il padrino? Solo un tentativo di riportare all’ovile una pecorella smarrita oppure una sorta genuflessione al boss? C’è da fare chiarezza.
Il fratello del parroco proprio l’altro ieri è stato arrestato per estorsione mentre il padre fu ucciso 11 anni prima in un agguato. Non significa nulla. Però le parole contenute nella missiva “Ti auguro tutto il bene che un prete può augurare a un uomo” e in cui il sacerdote racconta al boss di scrivere davanti al crocefisso e di essere felicemente la guida spirituale di suo figlio lasciano alquanto interdetti. La rabbia è tanta per chi non dimentica l’esempio di Don Peppino Diana che schierandosi contro la camorra firmò il suo testamento. Don Peppino non scriveva lettere ai latitanti, la sua chiesa era aperta a tutti pronto ad accogliere tutti ma a viso aperto e stando senza fraintendimenti dalla parte giusta: solo e sempre contro la camorra.
(tratto dal blog di Arnaldo Capezzuto su il Fatto Quotidiano)