Il ministro della Coesione sociale, Carlo Trigilia, ha usato una parola precisa per descrivere l’arretratezza del Mezzogiorno: manomorta. Che cos’è? Dal Medioevo fino al Settecento – ma in alcuni casi e Stati fino alla metà dell’Ottocento -, la manomorta indicava i beni che, per il fatto di appartenere a enti perpetui, soprattutto ecclesiastici, si consideravano stretti nella mano di un morto senza possibilità di uscirne. Quei beni – soprattutto terre – erano inalienabili e improduttivi. Oggi, stando all’analisi del ministro, il bene che è stretto nella “mano di un morto” è lo stesso Stato – e le concrete scelte di governo – e per questo motivo bisogna combattere la “manomorta della politica” con la consapevolezza che la sua riduzione creerebbe tensioni occupazionali e sociali. Ma come si può imboccare questa strada se la mano che deve muoversi è proprio quella della politica e se l’altra mano, quella della società, dipende dalla manomorta?
Non è la prima volta che Trigilia – forse l’ultimo meridionalista – affronta questi temi con il rigore del “pessimismo della ragione” alla cui riflessione è difficile contrapporre “l’ottimismo della volontà”. Niki Vendola, governatore della Puglia, lo ha criticato dicendogli che deve fare il ministro e non il professore. Ma solo qualche giorno fa è stato il governatore Caldoro a dire che tra le priorità del governo ci deve essere quella di cambiare le Regioni, altrimenti è meglio scioglierle. Le cose che Carlo Trigilia ha detto, questa volta da ministro e non da professore, non sono nuove: le diceva e documentava anche venti e trenta anni fa quando, sulla scorta del sottosviluppo creato al Sud proprio dagli incentivi per lo sviluppo, parlava di “nuovo feudalesimo” e di rapporti tra meridionali – cittadini, imprenditori, lavoratori, giovani – e partiti politici che erano più simili alla sudditanza o al vassallaggio piuttosto che alla dimensione civile della società moderna. E’ con l’istituzione delle regioni che il Mezzogiorno d’Italia arretra sul piano civile con una “rifeudalizzazione” della società. Da una parte le forze politiche controllano la finanza pubblica e dall’altra il familismo amorale pensa e agisce secondo la sua “regola aurea”: prendere tutto e subito per sé e il proprio gruppo, tanto gli altri fanno altrettanto.
E’ bene che tutti considerino con attenzione le parole del ministro. In poco tempo siamo passati dal Rinascimento napoletano al nuovo Medioevo e il “ritorno al passato” è avvenuto perché il primo era finto e il secondo era nel grembo della Prima repubblica. Oggi, soprattutto in Campania, si vivono rapporti medievali, ossia contrassegnati da un reciproco vincolo di fiducia e condizionamento su base personale, nelle istituzioni, nella politica, nell’impresa, nella società che, sempre più debole e priva di anticorpi, è preda del crimine che è l’unica realtà “organizzata”. In questi casi si spera nella cultura. Ma l’analfabetismo della provincia napoletana è un primato nazionale: 35 per cento. Non c’è nessun Umanesimo alla porte.