La storia italiana conosce un solo tipo di scuola: la scuola di Stato. Questa unicità confonde le idee e tende a far credere che la sola scuola pubblica sia quella statale mentre la scuola è per definizione e per funzione pubblica. L’espressione “religione di Stato” fa inorridire perché esprime la negazione della libertà religiosa. Invece, la formula “scuola di Stato” è celebrata come esempio di libertà ma è evidente che le due espressioni sono equivalenti: là dove c’è, come in Italia, un sistema monopolistico, “scuola di Stato” significa “religione di Stato”. Scuola significa libertà e Stato significa sicurezza. Le due cose sono diverse ma per ragioni storiche e culturali sono state messe insieme fino a confondersi. Così si è verificato un cortocircuito che dobbiamo neutralizzare se vogliamo provare non solo a riformare la scuola ma anche a migliorarla.
Andrea Ichino nell’articolo intitolato “Riscoprire il talento per salvare la scuola” (Corriere della Sera del 21 ottobre) ha posto tre importanti questioni. La prima riguarda la possibilità d’avere una scuola di buona qualità che non lasci indietro nessuno ma che, al contempo, permetta ai talentuosi, indipendentemente dalla loro condizione sociale, di esprimersi e migliorarsi. La seconda riguarda il rapporto tra le “due culture” – la classica e la scientifica – e l’idea, forse l’esigenza, che nel curriculum di studi le ore della cultura scientifica aumentino. La terza riguarda la dimensione mastodontica della scuola italiana che per la sua stessa mole – “un’organizzazione più grande quasi dell’esercito americano” – e le parziali riforme dell’autonomia è diventata ingovernabile dallo stesso ministero e per salvarla è necessario che lo Stato non sia l’unico “gestore” della scuola. Queste tre scelte strategiche sono tutte cose buone e giuste ma l’esperienza e la storia ci dicono che nel passaggio dall’ideazione all’attuazione le buone intenzioni non realizzano concrete azioni e miglioramenti. Perché? Perché la scuola italiana è tutta – tutta – governata dall’ordinamento legislativo che con le sue norme e leggi l’amministra e la dirige verso il diploma (scuola secondaria) e laurea (università) che sono titoli di studio che hanno prima un valore legale e dopo, soltanto dopo, un valore culturale e formativo. Il valore legale dei titoli di studio è, come sapevano molto bene Luigi Einaudi e Salvatore Valitutti, un veleno che una volta iniettato nella scuola e negli studi la tramortisce e li snatura. Non sarà mai possibile iniziare a riformare seriamente la scuola e l’università se non si toglie dai loro organismi il veleno.
Quando si affronta il serio problema della scuola bisognerebbe prima di tutto porre una domanda: perché si va a scuola? Purtroppo, la risposta italiana è sbagliata: si frequenta la scuola per prendere il diploma e l’università per avere la laurea. Invece, la risposta è tutt’altra: si va a scuola e in accademia per migliorarsi e conoscere e ricercare. I titoli di studio si possono acquistare e regalare, ma la formazione e il sapere non si acquistano in nessun luogo e si possono solo e di volta in volta conquistare. Lo Stato italiano, purtroppo, usa il suo ordinamento scolastico e accademico come una sorta di ufficio a cui appaltare la creazione di impiegati, burocrati, dirigenti e figure professionali di cui ha bisogno. Attraverso il valore legale dei titoli di studio, lo Stato regolamenta l’accesso agli uffici pubblici e alle professioni. In questo modo, però, con un solo colpo danneggia sia se stesso sia la scuola: non alleva buoni dirigenti e distrugge la scuola. Per uscire da questo sistema che vanifica se stesso non c’è altra strada da seguire se non quella che riconosce che la scuola e gli studi si fondano sulla libertà. Qualcuno forse pensa che il fondamento della matematica sia il Parlamento o che la filosofia si fondi sulla sovranità popolare? Soltanto se si svaluta il valore legale del diploma e della laurea – che del resto sono già svalutati dalla realtà – si potranno riportare la scuola a scuola e gli studi agli studi. Soltanto con la svalutazione del valore legale si potrà rivalutare il valore culturale della scuola e così finalmente, e almeno, iniziare a lavorare concretamente a un serio miglioramento delle nuove generazioni che formandosi nella pratica della libertà si prepareranno ad affrontare gli esami extra-scolastici della vita e dello Stato per affermarsi nel lavoro e conquistarsi un posto nel mondo. I guasti enormi della scuola italiana hanno le loro giuste risposte nella storia della scuola ma, purtroppo, questa storia è del tutto trascurata e ignorata fino all’oblio e alla perdita di senso delle parole più comuni da cui dipende la tenuta della nostra democrazia ormai malata.