Dice Mario Fragnito – che ringrazio per l’attenzione – che non bisogna meravigliarsi se sulla spiaggia si continua a giocare e a bagnarsi anche in presenza di un morto sul bagnasciuga perché come diceva la massima della Thatcher “la società non esiste, esiste solo l’individuo”. Se ho capito bene il riferimento dell’amico Fragnito – il quale peraltro ritiene che io condivida la frase della lady di ferro – dovrebbe essere proprio l’affermazione del liberismo a giustificare comportamenti oltraggiosi perché se esiste solo l’individuo ognuno fa quello che più gli pare e piace. Il liberismo diventa così la filosofia dei porci comodi. Infatti, sul liberismo – padre irresponsabile del capitalismo selvaggio, naturalmente – si potrebbe riecheggiare quanto diceva Maria Antonietta mentre veniva accompagnata al patibolo: “O liberismo, quante sciocchezze si dicono pur di ingiuriarti”. Il liberismo – fratello di sangue economico del liberalismo – è colpevole delle peggiori brutture e alle già tante sue colpe bisogna aggiungere anche la maleducazione, l’insensibilità, l’oltraggio, le unghie incarnite e, di conseguenza, qualunque sciocchezza, stupidaggine e turpitudine qualcuno faccia al mondo – e se ne fanno, se ne fanno – la colpa è da vedersi sempre nell’affermazione del principio liberalista “la società non esiste, esiste solo l’individuo”. Mi sembra un’interpretazione un pochino paranoica ma, pur volendole dare credito, non mi sento compartecipe della Grande Colpa perché, al contrario di quanto evidentemente pensa il mio gentile amico, io non credo che esista solo l’individuo e, anzi, ho non poche difficoltà a credere nell’esistenza dell’individuo. La cosa può destare stupore, mi rendo conto; ma solo perché in Italia il liberalismo è un conosciutissimo sconosciuto. Tutti lo citano, amici e nemici, ma pochissimi lo conoscono e meno di pochissimi lo praticano.
Il concetto di individuo è qualcosa di molto sfuggente, addirittura ineffabile. Ma come faccio ad essere e sentirmi liberale se non credo all’esistenza dell’individuo? Perché – a costo di suscitare il riso di chi legge – credo nell’esistenza dello spirito che, però, siccome è parola equivoca possiamo sostituire con la parola storia. Credo solo nell’esistenza della storia. E la storia è il concetto di essere che non si lascia più ridurre a razionalità strumentale e manipolabile ma, al contrario, di questa ne è l’eversione e comprensione. L’uomo è un essere storico appassionato, volitivo, intuitivo, pensante, morale e la vita umana si forma attraverso il travaglio del passaggio da un atto all’altro in cui l’uomo per vivere, a differenza degli animali e degli dèi, è condannato a pensare. Il pensiero stesso non è un cervello sopra il cervello ma giudizio storico. Noi siano vichianamente ciò che facciamo e ciò che facciamo è penetrato dalla mente. Per conoscere ciò che siamo – e non possiamo non farlo perché vogliamo vivere, a meno che non si abbia un’idea accademica del sapere – non possiamo fare altro che raccontare l’esistenza per ciò che è: storia.
La storia si fa come libertà e si pensa come necessità. La si pensa secondo necessità non perché ciò che è accaduto non poteva non accadere ma semplicemente perché si pensa solo ciò che è accaduto mentre ciò che non è accaduto non è conoscibile ed è il frutto ozioso dell’immaginazione. La si fa secondo libertà perché ogni uomo è intento all’adempimento del proprio dovere e non alla costruzione della storia del mondo o della società. In questo senso l’uomo è libero perché è vivo: non si può mettere a capo della storia del mondo o della società, che non tollera capi di sorta, ma si deve tenere stretto unicamente alla sua azione. Mettersi a capo della storia del mondo – o della storia e basta – significa credere o far credere di possedere la storia o l’essere o la vita. Il capo della storia del mondo genera sul piano politico la teocrazia, la tirannia e, nell’età moderna e tecnica, il totalitarismo. Il concetto di storia viene al mondo proprio per mostrare l’arbitrio teorico e pratico di questi abusi. Quando il potere – di varia natura – abusa di sé, nascono una serie di problemi che vanno affrontati dalla filosofia facendo ricorso allo schiarimento mentale e dalla fortezza morale che si oppone. Il liberalismo altro non è che limitazione del potere e smascheramento dei suoi abusi e tra questi c’è quello, subdolo, del possesso di una superconoscenza. A ciò il liberalismo – se lo si vuol continuare a chiamare così – si oppone con la coscienza del concetto di libertà umana che è allo stesso tempo positiva e negativa: è positiva perché afferma se stessa con la conoscenza della storia che siamo ed è negativa perché non tollera che altri intervenga nella propria vita in nome di presunte conoscenze superiori che sono già abusi di potere. Che tutto questo possa essere pensato senza far ricorso all’individualismo e al suo empirismo ma, addirittura, smontandolo o riportandolo alla sua genesi è quasi un miracolo della tradizione critica del pensiero italiano. Quelli che chiamiamo i personaggi della storia sono dramatis personae ossia atti morali, teoretici, estetici, sentimentali, religiosi e le vere individualità della storia sono le opere in cui gli uomini piuttosto che essere autori sono collaboranti e chi è dotato di un senso delle umane cose prova rossore e imbarazzo quando gli riconoscono meriti che sa non esser suoi ma di una storia che lo supera.
Se ora si guarda alla incriminata celebre frase del primo ministro inglese recentemente scomparso, si potrà capire che il suo senso più vero e profondo non è da ricercarsi nella esistenza degli individui come atomi o monadi o puntini astratti quanto nella inviolabilità delle loro vite in nome, soprattutto, di una supposta e tirannica superconoscenza della società e della verità. La stessa inviolabilità che la decenza, senza troppe sottigliezze, vuole che sia riconosciuta anche ai poveri nudi corpi dei morti su di una spiaggia assolata.
(Per questa mia nota, che sfida – ne sono consapevole – il ridicolo, confido nell’indulgenza del lettore e dello stesso Mario Fragnito che, forse, se non hanno già tagliato la corda, saranno ormai abituati alle mie incursioni nella storia delle idee per provare a capire quel mondo che c’è anche in una frase di oratoria politica qual era, in fondo, quella di Margaret Thatcher).
Caro Giancristiano, se tutto l’impegno profuso da Margaret Thatcher nei suoi anni di governo l’ha dedicato quasi esclusivamente al drastico ridimensionamento dello stato sociale, tra cui, in primis, la sanità, non penso che il tuo ragionameno esposto nel finale dell’articolo sia valido. In questo caso l’inviolabilità delle vite, nel senso della salute, è stato da quei provvedimenti ampiamente violato.