Gianrico Carofiglio ha lasciato sia la politica sia la magistratura. Dopo aver trascorso cinque anni a Palazzo Madama come senatore del Pd, ha scelto prima di non ricandidarsi e poi di non indossare nuovamente la toga da magistrato. Era stato assegnato al tribunale di Benevento ma non svolgerà mai il suo “primo mestiere” a Benevento perché lo ha lasciato in modo definitivo. Non temporaneamente, non per qualche tempo. Per sempre. Perché abbia fatto questa scelta – “difficile ma necessaria” – lo ha spiegato con un’intervista rilasciata al Corriere della Sera: “In questo periodo ho imparato ad avere una libertà di espressione che facendo il magistrato non potrei più esercitare, giustamente, peraltro. Ci sono degli obblighi di riservatezza che chi veste la toga deve osservare, e sinceramente non mi va di rinunciare a dire quello che penso. Non solo come politico, ma anche come cittadino che ha a cuore la vita collettiva. Perciò me ne vado”. Un comportamento ineccepibile. Purtroppo, non tutti i magistrati che hanno svolto anche attività politica si comportano in questo modo. Antonio Igroia, per esempio.
Antonio Ingroia non ha fatto il giudice a Benevento ma in città è conosciuto e apprezzato, anche se non si sa se più come magistrato o più come politico oppure perché – ed è l’ipotesi peggiore, ma anche più realistica – somma in sé tutt’e due le figure. E’ molto difficile distinguere nel leader di Azione civile, che alle ultime elezioni si è candidato premier di Rivoluzione civile, il giudice dal politico e il politico dal giudice. E se la distinzione è difficile, la separazione è impossibile: dopo essere stato pubblico ministero nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-Mafia, Ingroia ha lasciato il processo per un incarico Onu in Guatemala ma non ha mai avuto il tempo di ambientarsi nel suo nuovo ruolo che si è candidato alla presidenza del Consiglio dei ministri. Dopo le elezioni senza elezione, Ingroia si sarebbe dovuto trasferire, secondo la destinazione voluta dal Csm, al tribunale di Aosta ma il magistrato che predica la rivoluzione civile e continua ad essere il leader del movimento Azione civile ha impugnato la decisione del Csm di fronte al Tar. Così nei suoi riguardi è stata avviata una iniziativa disciplinare perché “fa politica”.
La soluzione del “caso Ingroia” è molto semplice se affrontata sulla base dell’esempio di Gianrico Carofiglio: scelga cosa fare. O il magistrato o il politico oppure, come nel caso dello scrittore pugliese, né l’uno né l’altro. Anche Ingroia scrive libri e, anche se non hanno lo stesso successo dei romanzi di Carofiglio, potrebbero rappresentare un “terzo mestiere” da esercitare con soddisfazione. Ma ciò che Ingroia non può fare è fare di tutte le sue attività un fascio perché sono attività tra loro in palese conflitto. Lo si può dire anche con le parole di Carofiglio: “Credo che quando uno rientra in magistratura debba farlo senza tentennamenti, tornando a immergersi nel proprio ruolo. Ogni cittadino ha diritto di trovarsi di fronte un giudice che fa solo il giudice, senza pensare ad altro. I rientri perplessi, mentre si continua a fare politica in maniera più o meno esplicita, non mi piacciono”. Se dovessi incontrare Carofiglio saprei chi avrei di fronte: un romanziere che dopo essere stato senatore della sinistra ha scelto di lasciare la politica e di non rientrare in magistratura per dedicarsi in piena libertà alla scrittura. Ma se incontrassi Ingroia chi avrei di fronte? E, soprattutto, se lo incontrassi mentre è giudice, potrei essere certo “che fa solo il giudice, senza pensare ad altro”?