Apparentemente un insospettabile, un professionista, un colletto bianco. Condannato a nove anni di carcere con sentenza passata in giudicato per essere finito nella rete di un’indagine internazionale di droga a Milano.
Una storia dimenticata. Una storia passata. Una storia sotterrata. Nel frattempo due brillanti lauree in economia e scienze politiche. Due matrimoni con figli. Frequentazioni di alto bordo. Diverse attività come imprenditore nel campo marittimo e consulente aziendale. La passione dello skipper d’altura. Un uomo di successo.
A Marano, città a Nord di Napoli, regno degli unici clan – Nuvoletta e Polverino – con collegamenti con le cosche di Cosa Nostra, lo chiamano “il dottore”. A via Poggio Vallesana – strada enclave di Marano – “il dottore” Stefano Brutto, 43 anni, ci risiede. Un appartamento e un paio di box. Gli investigatori neppure sanno chi sia Stefano Brutto. Nei rapporti d’intelligente il suo nome è inesistente. Lui è abile, distinto, affabile. Una vita da “dormiente” di camorra. Si, uno che sembra lontano anni luce dai clan, dalla criminalità, dalle logiche di “mezzo alla strada”. Anzi se ci parli mostra anche grande sensibilità su tematiche anticamorra e a favore del rispetto della legalità. Insomma il “dormiente” non si sente un camorrista, non lo è. Si comporta come l’enzima in chimica: crea le condizioni per le reazioni ma non ne è assolutamente parte.
Stefano Brutto è un nuovo broker della camorra 2.0. Se nelle “piazze di spaccio” si ammazzano, se nei quartieri popolari la vita costa meno di una dose, se gli affari legali si costruiscono su soldi intrisi di sangue, il discorso cambia ai vertici. Nelle holding di camorra (concetto diverso e lontano dai clan – aggregazioni macchiettistiche e litigiose-) non ci sono uomini di basso profilo ma manager che non sfigurerebbero in multinazionali del mercato globale. Immaginate solo cosa significa tecnicamente importare partite di droga da paesi esteri, farle arrivare in Italia, stoccare la merce, distribuirla ai grossisti poi ai dettaglianti infine ai capi piazza. Considerate i tanti “dazi” da onorare per garantirsi il transito tranquillo e la trasversalità dei vari livelli da oleare. Pensate – ad esempio – solo come sia complicato il pagamento in cash oppure i sistemi di depistaggio e coperture offshore da adottare. Non stiamo parlando di cose astratte. I vertici delle cosche hanno bisogno dei signor Wolf che risolvono i problemi. Manager abili che hanno frequentazioni e agende telefoniche di un certo livello. Ruoli e competenze che combinate insieme danno vita a strutture coperte che offrono servizi altamente professionali.
E’ l’identikit di Stefano Brutto. Uno che vive contemporaneamente più vite. Non è stata una grande indagine a stanarlo. Neppure una intercettazione. E’ stato l’intuito di Eric Fasolino, un capitano-capitano dei carabinieri del Nucleo operativo. Svolgevano un servizio in borghese a bordo di un auto e in sella a una moto. Hanno notato un signore distinto, dall’aria curata, ben vestito che con un Beverly nuovissimo andava su e giù. Sembrava nervoso, teso, affaticato. Una scena che non significava nulla. Ma il capitano è colpito. Percepisce una strana sensazione. Non sa spiegarselo. Rompe gli indugi: fermiamolo. E’ come aver rotto un incantesimo. Il broker strabuzza gli occhi. L’approccio è sicuro e spigliato. I carabinieri lo invitano a sollevare la sella del Beverly. E’ il primo cazzotto. In una busta sono nascosti 20mila e 500 euro in banconote. Stefano Brutto balbetta. Non sa cosa dire. Tenta di giustificarsi. Il capitano Fasolino insiste. Ha compreso di aver pizzicato un “dormiente”.
Trascorre poco più di un’ora e scatta il sopralluogo e la perquisizione in via Poggio Vallesana. E’ il colpo dei colpi. Su un armadio in camera da letto in diversi sacchetti ci sono meticolosamente fascettate banconote di vario taglio per un importo pari a 719 mila euro! Le sorprese non finiscono, anzi. In uno dei due box vengono trovati 76 chili di cocaina purissima confezionata in panetti da un chilo. Vengono rinvenuti anche due gps probabilmente dovevano essere utilizzati – ipotizzano gli inquirenti – per lo scambio droga-soldi in alto mare.
Stefano Brutto ora è in carcere e a suo carico ci sono accuse pesantissime. Lui non parla. Quest’arresto svela una complessità. C’è un’infrastruttura – di cui nessuno conosce i contorni – che lavora in parallelo con la camorra. Un potere coperto, paramassonico, socialmente molto mobile, che interagisce e dialoga “vendendo” servizi professionali e competenze non solo alla criminalità organizzata.
(tratto dal blog di Arnaldo Capezzuto su il Fatto Quotidiano)