Un senso di schifo mi ingombra il cervello. Come avessi un rospo in gola e lo dovessi sputare ma, non riuscendoci, il mostro salisse dal collo alla nuca fino a installarsi nel cervello. Lì giunto, invece di schifarsi lui – pur ne avrebbe donde, povera bestia – mi schifo io che non riesco a liberarmi della nausea che mi procura l’immondo animale. La schifezza ha preso possesso di me.
Il rospo che ho nel cervello – ma potrebbe essere anche uno scarafaggio o un ibrido schifoso – mi trasmette un senso di schifo universale. La nausea o qualcosa di peggio: la schifezza che è ovunque. Dentro di me e fuori di me. Dentro casa e fuori casa. La schifezza si manifesta sotto forma di insetti che escono dai tombini e invadono le strade, le automobili, gli uffici. Chiudo porte e finestre ma non c’è verso. Gli scarafaggi escono dai rubinetti, dai buchi dei lavandini, dal cesso. Non c’è verso perché anche i versi dei libri si riversano su di me come scarafaggi e attivi parassiti. Le parole degli altri sono mostruose. Accendo la televisione per avere notizie e dallo schermo escono ancora questi coriacei scarafaggi che schiaccio sotto i piedi sentendone tutta la durezza della corazza che pur cede rilasciando una poltiglia gelatinosa che mi afferra la gola e procura il vomito. E dalla bocca che si apre e allarga più che può sotto lo sforzo del singulto escono scarafaggi e scorpioni mentre il rospo nella testa mangia il cervello e divora il mio spirito.
La schifezza ottunde i miei sensi che non percepiscono altro che schifo. Mi ritrovo gettato nella schifezza senza sapere come uscirne. Le cose, che hanno ora le sembianze degli insetti neri, mi schiacciano come io prima schiacciavo gli scarafaggi. Cose, oggetti, prodotti, roba: tutto mi schiaccia. La schifezza mi risucchia nella schifezza impedendo ai sensi di dare al mondo uno o più sensi. La vista dell’occhio, il tatto delle mani, l’udito dell’orecchio, l’olfatto del naso, il gusto della lingua. Tutti percepiscono lo Stesso senso: la schifezza. Come se la schifezza li abitasse. Come gli scarafaggi che continuano a uscire dalle fogne delle strade e dai lavandini dell’appartamento. L’unico senso possibile sembra essere il raspo del rospo che cena con il pasto del mio nudo cervello. Quando avrà finito con la testa scenderà e passerà al cuore su cui zampettano gli scarafaggi trasformandolo da rosso in nero. Il senso dello schifo mi impedisce di provare piacere e dolore. Tutto è ingoiato da nausea e inedia che mi fanno vomitare lo schifo dell’immondo. Sputo il rospo.
La schifezza non mi lascia mai. Il mostro che mi mangia il cervello è onnipresente. Il cervello ricresce per farsi mangiare. E’ il cervello stesso a credere di creare il suo mostro per farsi mangiare e ricrescere. Come se il cervello avesse bisogno di un mostro per funzionare, per essere vivo. Un nemico interno da cui dipendono la vita e la morte, la salute e la malattia, il bello e il brutto, la verità e l’errore. Il bene e il male.