Domenica prossima, alla Mostra d’Oltremare di Napoli, si vota per il rinnovo dei vertici regionali dell’ordine dei giornalisti. I non addetti ai lavori probabilmente diranno “ma chi se frega!”. Un atteggiamento comprensibile, visto il livello medio del giornalismo prodotto in Italia negli ultimi anni.
Nel Paese c’è una vera e propria emergenza-informazione in quanto da una parte c’è una lobby imprenditorial-politica che detiene il controllo di gran parte del sistema mediatico e dall’altra c’è una categoria, quella dei giornalisti, che alla stregua di tutti i settori della società, è stata in gran parte inglobata nelle logiche di mera e sistematica occupazione dei posti di potere.
Fra una macchina del fango e l’altra e la progressiva trasformazione dei giornalisti in comunicatori c’è stato un lento ed inesorabile declino della professione, oggi tra le meno credibili agli occhi dell’opinione pubblica.
Eppure, in questi anni, così come è accaduto in altri settori, c’è stato uno zoccolo duro di giornalisti che ha sostanzialmente tenuto, pur pagando un prezzo altissimo.
Dignità, coerenza e amore smodato (direi quasi perverso) per la professione hanno consentito a tanti anonimi giornalisti della sperduta provincia italiana di documentare gli effetti di questo declino. Giornalisti a cui vengono pagati pochi euro (comprensivi di rimborso spese) articoli che richiedono ore ed ore di ricerca, contatti e controllo meticoloso delle fonti. Anche perché in ballo, spesso, ci sono gli interessi di politici, faccendieri e malavitosi, soprattutto nel Mezzogiorno d’Italia, che poi – come si suol dire – te la fanno pagare.
E basta leggere i dati del rapporto stilato annualmente da Ossigeno per l’informazione (l’osservatorio sulle minacce ai giornalisti voluto da sindacato e ordine e diretto magistralmente da Alberto Spampinato, fratello di Giovanni ucciso dalla mafia) per rendersene conto. In ballo, spesso, c’è la vita, non solo l’autovettura o il portone d’ingresso bruciato.
Eppure, c’è un numero crescente di giornalisti che chiede semplicemente di fare bene e dignitosamente il proprio mestiere.
Ne ho conosciuti tanti in questi anni nel corso delle manifestazioni che ho organizzato con l’associazione Sanniopress.
L’ultimo, Alessandro De Pascale, pochi giorni dopo aver partecipato alla Settimana della legalità e alla vigilia di un processo in cui era chiamato a testimoniare per un’inchiesta giornalistica condotta sulla telecamorra campana, si è visto recapitare nella buca di casa un foglio con la scritta “Decidi di vivere”. Ma si può subire anche la prepotenza della politica, come è capitato a me qualche anno fa. Ed è proprio nei momenti di difficoltà che diventa importante non sentirsi soli.
Io sono stato fortunato perché ho incrociato due sindacalisti (per i giornalisti che lavorano nella pubblica amministrazione è preferibile essere iscritti sia al sindacato dei giornalisti che a un sindacato generale) che mi hanno efficacemente sostenuto e tutelato.
Uno di questi è stato Enzo Colimoro, il presidente dell’associazione napoletana della stampa che neppure conoscevo (l’altro è Gabriele Corona dello Slai Cobas).
Colimoro, e torno al punto di partenza, domenica è candidato al consiglio regionale dell’ordine dei giornalisti.
Sulla scorta della mia esperienza non posso che sostenere la candidatura di un collega di cui ho apprezzato la passione con cui si è schierato al fianco di uno sconosciuto giornalista della provincia di Benevento. Una battaglia che, per la cruda e spietata logica dei numeri che purtroppo penalizza da sempre il nostro Sannio anche sul piano politico, non valeva nemmeno la pena affrontare.
Eppure Colimoro lo fece. E per questo domenica lo voterò con convinzione. Lo farò perché il nostro Paese ha bisogno di ripartire dalle passioni. Ed Enzo ha dimostrato di averne tanta.