(Il Punto) – Ricordo ancora le parole di un collega campano, al quale nel corso del 2011 chiesi un parere sul libro che allora stavo già scrivendo da mesi. Mi disse: «Stai attento, tocchi grandi interessi economici e te le faranno pagare». Parole rivelatesi, purtroppo, corrette. Altri, invece, appoggiavano appieno questo lavoro che avevo iniziato a seguire fin dal 2007, realizzando una storia di copertina per il settimanale sul quale scrivevo all’epoca. Nel maggio 2012, l’uscita in libreria del saggio d’inchiesta “Telecamorra, guerra tra clan per il controllo dell’etere”, frutto di quei quattro anni di lavoro su questo argomento, oggi arrivato alla seconda ristampa.
Ci tenevo davvero tanto a scrivere questo libro. Perché dentro c’è un pezzo di storia della mia regione, fatta purtroppo anche di clan camorristici, boss iscritti alla Siae, cosche che possiedono case discografiche, scuderie di cantanti neomelodici, radio e televisioni nelle mani della criminalità organizzata, controllando così anche il delicato settore dell’informazione. Una realtà, fino ad allora inedita e inesplorata, se non in qualche articolo scritto da me o dai bravi colleghi del mensile La Voce delle voci.
Pur consapevole fin dal primo momento, dei rischi a cui sarei andato incontro, mi sono divertito davvero molto a realizzarlo. Dai giri per gli studi delle emittenti tv, alla chiacchierate coi boss neomelò, passando le audizioni nelle case discografioche della camorra, nei sottoscala dei vicoli del quartiere Sanità, spacciandomi io stesso per un’aspirante cantante di malavita. Per non parlare dell’esame dei testi di queste canzoni dai titoli emblematici, come o’ capoclan (Nello Liberti), per il quale la procura di Napoli aveva chiesto l’arresto per istigazione a delinquere poi negato dal gip anche se ora resta indagato, Nu latitante (Tommy Riccio), ‘o killer (Gino Del Miro), Femmena d’onore e Il mio amico camorrista (Lisa Castaldi). Canzoni nei cui video, spesso ci sono i veri boss, affiliati o guardiaspalle, di cui si parla nei brani in questione.
Un fenomeno in tutto e per tutto simile a quello dei narcocorridos che cantano per i cartelli della droga messicani, le cui canzoni coi testi zeppi di decapitazioni, torture, sequestri e complicità tra narcos e poliziotti, vengono infatti considerati come apologia del narcotraffico e sono stati vietati per legge sulle radio del Paese sudamericano, i concerti impediti persino da alcuni Stati Usa confinanti. Analogie che oggi si vedono anche nella produzione cinematografica e televisiva partenopea, dove film come Un camorrista per bene o Sodoma, la scissione di Napoli, esaltano il ruolo dei boss e dei loro clan. Un po’ come accade in Messico con il cinenarco. Lo stesso avviene nei modi di fare dei nuovi, giovanissimi, boss campani: armi bagnate nell’oro, ricoperte di diamanti, con lo stemma Versace o Ferrari, non sono una novità, sia a Napoli che in Messico. Il business neomeolodico muove un indotto impressionante, quasi interamente a nero, con i posti di lavoro gestiti direttamente dalla camorra.
Attraverso il genere neomelodico la camorra educa le nuove generazioni al credo camorrista. A scrivere queste canzoni, spesso sono gli stessi boss iscritti alla Siae direttamente o tramite pseudonimi e prestanome. Luigi Giuliano, ex rais di Forcella oggi collaboratore di giustizia è stato il primo a creare questo filone: talent scout e paroliere anche per gli esordi di Gigi D’Alessio ha scritto successi come Chill’va pazz p’te cantata da Ciro Ricci (400mila copie vendute ufficialmente, un sommerso che supera il milione). I clan producono direttamente questo genere musicale, organizzano i concerti e lo trasmettono sulle loro radio e tv.
Coinvolte tutte le principali cosche. I Sarno che si erano messi in testa di dominare Napoli e provincia sono dei re nel settore: l’agenzia Bella Napoli è di Carmine Sarno, parente del super boss Ciro Sarno detto ‘o sindaco. Lo stesso vale per i sanguinari Scissionisti, che controllano il narcotraffico a Scampia: la Saba production et Diapason è di Tommaso Prestieri, boss di Secondigliano più volte finito dietro le sbarre. E la stessa nuova faida tra in corso, che vede i Girati-Di Lauro da un lato e gli Sciossinisti dall’altro, è iniziata nell’agosto 2011 con l’omicidio su una spiaggia di Terracina del boss neomelodico Gaetano Marino. Ci sono poi gli Stolder di Forcella: Carmine Iovine, a capo di Papele Tv e dell’etichetta PapyRekord’s, sarebbe il fratellastro del capoclan Raffaele Stolder. Perché il business neomeolodico muove un indotto impressionante, quasi interamente a nero, con i posti di lavoro gestiti direttamente dai clan che ottengono così consenso sociale.
Dopo l’uscita del libro con l’operazione “Canta Napoli”, la Guardia di Finanza contesta a due cantanti neomelò (Tommaso Riccio e Antonio Ottaiano) un’evasione fiscale da ben 8 milioni di euro. Il 4 luglio 2012, in un blitz contro il clan Gionta di Torre Annunziata, quello che nel 1985 ammazzò il giornalista Giancarlo Siani, è stato invece arrestato il cantante neomelodico Tony Marciano, famoso per la hit dell’anno successivo Io sono meridionale, che gli fece vendere 150mila copie. Recentemente aveva cantato una canzone scritta da Aldo Gionta in persona, nella quale il capoclan contestava i 20 anni di carcere che gli sono stati inflitti. Il cantante è ora accusato di spaccio e associazione finalizzata al traffico di stupefacenti aggravati dal metodo mafioso e dal carattere transnazionale dell’attività illecita. Con i propri soldi, magari guadagnati proprio con la vendita dei suoi dischi, Marciano si recava personalmente in Olanda per comprare la droga e poi provvedeva a venderla tra i suoi conoscenti, forse fan compresi. In un’intercettazione dice: «Mettiamo i minorenni a spacciare».
Marciano non è l’unico cantante neomelò finoto nelle maglie della giustizia: Mimmo Nory gestiva un traffico di armi tra l’Italia e la Germania per gli Scissionisti di Secondigliano, Rosario Miraggio è accusato di estorsione con modalità mafiose, Antonio Borrelli e Enzo Ilardi di spaccio, Alfonso Manzella (meglio noto come Zuccherino) è stato condannato per tentata rapina e detenzione di arma da fuoco, Raffaele Migliaccio (alias Raffaello) per oltraggio, minacce, lesioni, violenza, resistenza a pubblico ufficiale e porto abusivo d’arma. Un elenco che potrebbe continuare, come del resto quello delle cosche coinvolte.
Il libro avrà sicuramente dato parecchio fastidio a questi personaggi, anche perché in seguito all’uscita del testo si sono moltiplicati gli arresti, le indagini della magistratura, i processi e sono anche arrivate le prime condanne. Ancor più il deposito in procura di una relazione sugli interessi nel digitale terrestre, che la settimana prossima pubblicheremo in esclusiva su questo settimanale. Il giorno del mio ultimo compleanno, il 3 dicembre 2012, l’ultimo regalo dell’antimafia di Napoli: l’arresto di 12 affiliati al clan dei Casalesi (fazione Schiavone), sono stati arrestati con l’accusa di associazione mafiosa, estorsioni, detenzione illegale di pistole, cessione di droga, reati aggravati dal fine di voler agevolare il clan di riferimento. Anche loro si erano inseriti nel business. Ai ristoratori, agli organizzatori di feste patronali e di piazza, ai titolari delle emittenti televisive locali, imponevano infatti la scritturazione di cantanti neomelodici per le esibizioni canore. Solo parte del compenso veniva poi consegnato al cantante, perché la maggior parte del denaro finiva nelle tasche del clan. Tra loro, figura Ida D’Amore, compagna di Gaetano De Biase, anche lui arrestato, ritenuto il referente del clan nella zona di Aversa. Una cosa è certa. Niente e nessuno potrà fermarmi. Faccio solo il mio lavoro, cercando sempre di farlo al meglio possibile.
* autore del libro “Telecamorra” presentato nell’ambito della Settimana della legalità