Proverò a smontare le argomentazioni (filosofiche) con le quali Giancristiano Desiderio giustifica lo scempio politico cui stiamo assistendo e denigra, con la sua consueta accusa di infantilismo, quanto si oppone a questa difesa castale camuffata da gesto (l’ennesimo!) “responsabile”, la cui icona dovrebbe essere, a mio avviso, il “responsabile” Scilipoti, eletto in un partito di sinistra, transitato “responsabilmente” a destra, sotto la (generoso e munifica) ala berlusconiana. Scilipoti dovrebbe essere il capo di questo governo, altro che Letta o Amato!
1) «La casa vecchia si lascia quando c’è la casa nuova». Quando mai nella storia il “nuovo” è nato ex abrupto e non invece faticosamente, spesso fra mille compromessi con il “vecchio”? La rivoluzione francese non nacque repubblicana! Il M5S e quanti credono in una democrazia diversa da quella sperimentata nel corso del XX secolo hanno scelto la via parlamentare. È scorretto e inesatto accusarli di extraparlamentarismo. Essi incarnano il bisogno, avvertito da molti, e supportato da autorevoli studiosi, di avviare il superamento dell’impasse della democrazia rappresentativa, che è sfociata, in molti paesi, nella cosiddetta “post-democrazia”, un’autonomia sempre più ampia del “politico” come sfera separata, in cui gli eletti, senza dar conto delle proprie scelte, costituiscono una vera e propria “casta”, portatrice di privilegi e decisione ab-solutae. Esempio ne fu l’atteggiamento di Bush quando gran parte degli americani erano contrari alla politica imperialista. Esempio ne è stato, purtroppo, l’elezione del Presidente della Repubblica, con il PD incapace di ascoltare il grido della propria base elettorale. Dunque, non solo è legittimo ma doveroso sperimentare (con gli errori connessi) forme nuove di contaminazione fra democrazia rappresentativa e diretta. Non per cancellare la prima, ma per correggerne le clamorose storture emerse nel corso del secolo… Filosoficamente, appare ben strano che un hegeliano come Desiderio (il filosofo tedesco affermava che si può imparare a nuotare solo… nuotando!) teorizza la costruzione in vitro di un’alternativa alla democrazia rappresentativa… L’alternativa si plasmerà “nel fuoco della controversia” in una dinamica processuale… Ben triste dover essere, fra i due, io l’hegeliano, semel in anno!
2) Il M5S non è antiparlamentare. Infatti ha scelto di essere presente in Parlamento. Nel considerare i parlamentari vincolati alla base non fa altro che riprendere un’antica tradizione (basti pensare alla Comune parigina) della sinistra europea. Avere radici non significa essere reazionari. Al contrario. Questa innovazione nella mortuaria democrazia rappresentativa, in un paese che è la vergogna del mondo per la sua legge elettorale (che permette alla casta di cooptare, non al cittadino di scegliere), è una slancio “a nord del futuro”.
3) «La democrazia popolare è una forma subdola di dittatura che ha un’origine giacobina e una tradizione comunista». Questa frase mi fa trasalire, essendo scritta da chi ha dedicato al pensiero della Arendt un brillante saggio. Fraintendendola, dal mio punto di vista. Ma come si può negare che la massima teorica della politica del Novecento abbia visto proprio nelle esperienze di democrazia diretta (la polis ateniese, le assemblee americane, i club francesi del 1789, i soviet del 1905 e del 1917), in particolare nel fondamentale Sulla rivoluzione, i modelli cui guardare per realizzare una compiuta democrazia?
4) Per certi versi, ma per motivi opposti, condivido il giudizio di Giancristiano secondo cui «è una fortuna che l’accordo non ci sia stato (fra PD e M5S). In questo modo resta aperta la strada per distruggere la marcescente pseudo-democrazia italiana e fondarne una nuova, come sulle macerie di un’altra guerra, che sta lasciando sul campo vittime silenziose, a partire da questo 25 aprile in cui scrivo.
5) «La sinistra italiana ha contribuito in modo determinante a costruire la democrazia rappresentativa italiana». Sicuramente. All’interno di sistema bipolare che non rendeva possibile, ovviamente, alcuna alternanza al potere (la vittoria elettorale del PCI avrebbe portato o all’intervento militare americano o all’attivazione del cosiddetto “Piano Solo”). Detto questo, i tempi sono maturi per modalità plurali di democrazia, in cui la partecipazione diretta (a tutti i livelli) eviti quella “ferrea legge delle oligarchie” che un socialista (poi fascista), Robert Michels, denunziava già agli inizi del “secolo breve”. E perché questo ORA è possibile? Perché è in atto – e di questo mi pare Giancristiano non voglia, ostinatamente, prendere consapevolezza – una vera e propria rivoluzione planetaria, paragonabile per importanza solo al passaggio dalla cultura orale a quella scritta (IX-VIII sec. a.C. in Grecia) e all’invenzione della stampa a caratteri mobili (sec. XV d.C.). Oggi le tecnologie informatiche, che già avvolgono in una “ragnatela” digitale l’intero globo, consentono potenzialmente a tutti i cittadini di essere informati in tempo reale su quanto accade, di partecipare in diretta ai più svariati avvenimenti, senza dover ricorrere al filtro “ideologico” di commentatori e opinionisti, che sono sempre “organici” a qualche potere (anche i più liberi, evidentemente, e il caso di “Repubblica” in questi mesi è emblematico). Soprattutto, il web e i social network in particolare consentono di formarsi un’opinione personale e contribuire a trovare soluzioni ai problemi di amministrazione dei Comuni, dei territori, dello Stato, dei rapporti internazionali. Ma il punto è che Giancristiano, liberale, è erede di una tradizione che origina con il primo grande libro politico (ahinoi!) dell’Occidente: la Politeia di Platone. Lì viene detto che le comunità umane devono essere guidata da “saggi”, filosofi, tecnici, esperti. Lì viene sancito che il “popolo”, nella grande maggioranza, deve dedicarsi a produrre, delegando a chi, sottoposto ad un duro processo di paideia, di formazione, avrà gli strumenti per accedere alla verità: al mondo delle idee, alle leggi del divenire storico, alle leggi dell’economia… Tutta la politica occidentale non è altro che la declinazione di questo paradigma originario… Da Platone a Monti, potremmo dire… E la Arendt (tanto amata da Giancristiano: mistero!) si rammaricava che all’origine della teoria politica occidentale ci fosse uno che di politica, appunto, nulla capiva, e il cui trionfo filosofico contribuì ad oscurare la straordinaria esperienza della polis ateniese, dove tutti i cittadini liberi partecipavano alle decisioni e alle cariche, supportata, teoreticamente, dal “relativismo” dei sofisti, in particolare di Protagora. Nel mito di Prometeo il grande pensatore, costretto poi a fuggire da Atene, spiegava che la virtù politica è prerogativa di tutti gli uomini. Il paradigma cui si rifà Giancristiano, invece, presuppone che solo alcuni uomini la possiedano e siano legittimati ad agire politicamente.
6) In conclusione del suo articolo Giancristiano evoca una “sinistra grillina”, che attacca Giorgio Napolitano, che, invece, avrebbe difeso «le virtù repubblicane a cui sono legate l’unità nazionale e le nostre libertà». In questa frase emerge il paradosso di Giancristiano, che pretende di leggere (aiutato, sia chiaro, da una parte del pensiero di sinistra del Novecento) la progettualità politica della sinistra all’interno del perimetro di due categorie: unità nazionale e libertà. Ovvero sia le categorie della destra liberale! Non mi stancherò mai di ripetere che il mio amico Giancristiano ha una strutturale incapacità a capire cosa vuol dire “essere di sinistra” perché compie continuamente una reductio ad unum: l’unica politica legittima è quella che tutela la nazione e le libertà. Ma la sinistra, il socialismo, il comunismo, caro Giancristiano, nascono internazionalisti e ugualitari! Queste sono le parole chiave di una sinistra “vera”, che non sia cioè l’alter-ego della tua Destra ideale (vocandosi all’inutilità: a guidare l’Italia nei prossimi mesi sarà una destra, appunto, declinata in liberale, il PD, e non, PDL). Il pensiero di Desiderio, la sua formazione filosofica, che pure rivendica estremo “realismo”, addebitando a me, ad esempio, infantilismo estremistico, non è capace di pensare che, all’interno dello Stato-Nazione, si danno interessi conflittuali. In questo momento gli interessi degli italiani non sono convergenti. Così come, nel quasi ventennio berlusconiano, al declinare dello status della media e piccola borghesia, ha corrisposto la creazione di inaudite ricchezze di altri ceti… Una sinistra “vera” non può che ricominciare a pensare cosa sia “la lotta di classe dopo la lotta di classe”. Si tratta di aggiornare antichi strumenti, rompendo con la tentazione (che ha un nome e un volto: Massimo D’Alema) di fare di un partito di sinistra un partito liberale e liberista. Trent’anni di liberismo hanno prodotto scempi inauditi in tante parti del mondo e dell’Europa. L’unica ragion d’essere di una sinistra “vera” è pensare un’alternativa possibile, concreta, a questo scempio. Parce, Maggie, potremmo dire!
7) È per tutti questi motivi che io continuerò ad impegnarmi perché in Italia sorga, dopo anni di equivoci e frammentazioni, un “soggetto politico nuovo” capace di tenere insieme il meglio delle tradizioni della sinistra novecentesca (soprattutto le sue eresie) con quanto di nuovo gli sviluppi tecnologici e culturali rendono possibile (solo oggi, non nel 1917 o nel 1968). Personalmente questo tentativo lo perseguo da oltre un anno, all’interno di ALBA. Spero di poter incontrare, nei prossimi mesi, in questo percorso tanti compagni (sarà possibile ridirla questa parola, senza chiedere il permesso?), delusi dal PD, tanti compagni di SEL, che spero abbiano compreso la vanità del loro tentativo di “spostare a sinistra la coalizione” (che è durata un battito di ciglia…) e, soprattutto, le persone che in questo momento sono “senza fissa dimora” politica. Sarà una “sinistra grillina”? No, sarà la nuova sinistra italiana, che risponderà in maniera originale a molte delle domande che Grillo ha posto per primo e meritoriamente già da molti anni, e che con il M5S inevitabilmente si incontrerà nella costruzione di una nuova democrazia, fondata sulla partecipazione attiva alla cosa pubblica e sulla ricerca di una maggiore giustizia sociale.