La scuola italiana è un grande affare, tanto nel settore “privato” quanto nel settore “pubblico”. I casi degli istituti parificati di Torre Annunziata e Nola sono emblematici: secondo la guardia di finanza e la procura, i corsi non si svolgevano, vi erano alunni fantasma, i registri erano falsi e l’ispettore dell’ufficio scolastico regionale chiudeva un occhio, anzi due. Veri “casi di scuola” perché sono presenti tutti gli attori: i gestori che non istituiscono la scuola per il diritto allo studio ma per la compravendita, gli alunni che non frequentano, i dirigenti che certificano il falso e pure l’ispettore regionale che non controlla anche se rappresenta lo Stato e sta lì proprio per controllare. Nel caso in specie figura anche il politico – Roberto Conte, ex consigliere regionale – che usava la scuola per assunzioni in cambio di voti.
La scuola paritaria è una risorsa per il sistema scolastico perché garantisce un servizio che lo Stato, nonostante il monopolio, non è in grado di fornire a tutti. Tuttavia, sono proprio le truffe scolastiche come queste che forniscono argomenti ai nemici delle scuole private. Almeno al Sud. Purtroppo, il reato che trasforma le paritarie in diplomifici è un malcostume meridionale, mentre al Nord esiste una buona tradizione dell’istruzione privata. Però – va aggiunto per capire bene – il vizio è all’origine: i diplomifici nascono perché tutta la scuola italiana è organizzata intorno al diploma. La scuola non è una macchina immodificabile ma un prodotto storico mutevole. La scuola italiana si è via via esaurita con il passaggio dal sistema elitario gentiliano alla scuola di massa. Più si è riempita, più si è svuotata. L’unica cosa che è rimasta invariata nel trasformismo scolastico italiano è, appunto, il diploma che, però, oggi non ha più il valore di un tempo. Il valore culturale non ce l’ha più da molti anni, mentre gli è rimasto solo quello legale che, come si è visto, è facile capovolgere in illegale.
Il grande affare scolastico riguarda anche il “pubblico”. L’affare della scuola pubblica, cioè statale, è il posto fisso. Il docente di ruolo è a tutti gli effetti uno statale: è un dipendente del ministero. Le scuole sono uffici periferici del ministero. I precari aspirano ad entrarvi stabilmente perché vogliono il posto fisso. Oltre ai docenti nella scuola c’è il personale Ata: bidelli e amministrativi. Su tutti regna il sindacato, più che il dirigente scolastico alias preside. Agli impiegati bisogna aggiungere il mercato dei libri di testo: editori, librai, rappresentanti. Dietro la parola “scuola” c’è la più grande azienda (in perdita) del Paese. La scuola così strutturata è solo una grande macchina burocratica autoreferenziale che ha espunto da sé il suo scopo: istruzione e formazione. Chi paga il conto? I contribuenti. Ma è una risposta tributaria troppo “fiscale”. In realtà, chi paga il conto è la nazione che non può contare sulla selezione dei meritevoli e dei talentuosi.
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno – pag. 1)