Il partito inutile – è inutile dire chi sia perché lo sapete benissimo – si è dimostrato talmente inutile che per ricavarne qualche briciola di utilità si è dovuto attendere che diventasse acefalo. Siccome è un partito in cui tutti – non solo Bersani – prima si sono montati la testa e poi, per la troppa vanagloria, tutti l’hanno perduta, oggi è un partito senza capo né coda. La battuta di Flaiano, che non va mai sprecata, è qui perfetta: l’insuccesso gli ha dato alla testa. Però, il partito inutile proprio perché non ha più la sua testa, che dalle nostre parti si chiama “capa gloriosa”, può oggi essere utile all’Italia ascoltando ciò che saggiamente dice Giorgio Napolitano.
Che cosa ne sarà del partito inutile? La domanda non mi eccita, né ho la sfera di cristallo per poter rispondere. Si può osservare, però, che se con il congresso prossimo venturo il partito inutile inseguirà ancora una volta il mito della “vera sinistra” e non toccherà il tabù che non vuole che ci siano nemici a sinistra, allora, il partito inutile sarà del tutto perso e destinato per sempre all’inutilità con, purtroppo, danni permanenti alla democrazia italiana. Se, invece, si prenderà atto che per avere un partito di sinistra ragionevole e adulto, cioè riformista, è necessario avere almeno due sinistre e lasciare alla propria sinistra un partito ancora ideologico, berlingueriano, ex comunista ci sarà qualche speranza di trasformare l’acqua in vino e, con un po’ di fortuna che non guasta mai, provare a costruire quella democrazia dell’alternanza che finora abbiamo solo parodiato. Per raggiungere questo scopo c’è bisogno di due cose: idee chiare e sincere fino alle lacrime e una scissione in cui gli adepti della “vera sinistra” prendano armi e bagagli e vadano a trovar casa altrove. O in una cosa-casa loro o a casa Sel. Il congresso del partito inutile sarà serio solo se sarà impostato così, altrimenti sarà una pagliacciata.
Per capire l’utilità di un congresso serio possiamo far riferimento alla situazione di Benevento. Oggi il capo del partito inutile è Umberto Del Basso De Caro. Il sindaco fa parte delle medesima inutilità. E così a scendere per li rami. Il deputato sannita al momento della scelta congressuale non sarà riformato perché farà la scelta riformista. Chi, dunque, a Benevento vuole restare nella casa dei democratici dovrà coabitare con Umberto che non ha nessuna voglia di sloggiare (e ha anche ragione) e punterà sulla trasformazione di sé da bersaniano a ciò che sarà utile trasformarsi. I sostenitori di Matteo Renzi devono, dunque, mettere in conto il riformismo-trasformista di Umberto al quale vorranno senz’altro contendere la guida del partito beneventano. Sul piano locale, infatti, la trasformazione del gruppo dirigente del partito inutile continuerà stabilmente la inutilità del partito inutile. Come reagirà il gruppetto dei renziani, il cosiddetto Big Bang? Non ha molti numeri ma ha idee e dovrà farle valere perché le idee non basta averle.
Altra storia per i giovani che purtroppo sono già vecchi. La loro posizione è quella del più ferreo antiberlusconismo ed è riassunta dallo striscione appeso al balcone della sede del partito: “No al governissimo”. Perché? Perché c’è il Caimano. Con queste idee sono destinati a finire nella bocca del Caimano locale del loro partito. La loro virtù è la gioventù ma la giovinezza in politica, come ripeteva Aristotele e testimonia per noi Napolitano e tante altre cose – almeno per chi sappia un po’ di storia -, non è miracolosa perché l’intelligenza politica è figlia dell’esperienza. Se a Benevento i giovani vogliono rinnovare il partito inutile e renderlo almeno un po’ utile a loro e alla città non hanno altra scelta che assumere la stessa posizione di Umberto ossia quella riformista e così dargli battaglia sul suo terreno con – questa volta – un vantaggio: mentre il deputato si sarà trasformato, loro potranno far valere le ragioni del ricambio, soprattutto se si uniranno al renziani. Invece, se resteranno su posizioni sterili e inconcludenti saranno mangiati in un sol boccone dal Caimano democratico e continuando la tiritera della “vera sinistra” faranno la fine di Pinocchio nella pancia della balena, senza neanche l’aiuto del buono e paziente Geppetto.
La lettura di questo articolo di Giancristiano Desiderio mi ha indotto alcune riflessioni. In effetti la rottura del mito “nessun nemico a sinistra” auspicata dal giornalista è uno dei problemi democratici, anche se non il principale. Ma mi chiedo: ha senso dividersi sui posizionamenti politici che mi paiono la questione meno rilevante oggi? Se qualcuno si sente coerente con la propria coscienza ritenendo di militare in un partito di sinistra oppure in uno di centro sinistra, ben venga. Ma non penso che il problema serio del PD sia questo. In effetti il voto per il PdR ha dimostrato che, come ha efficaciemente rappresentato ieri Bersani in direzione nazionale, il PD è vissuto da alcuni più come uno spazio che come un partito.
Oggi occorre però comprendere i limiti di una gestione politica che ha permesso l’ulteriore radicamento di queste convinzioni.
In effetti bisogna seriamente chiedersi come il PD selezione i suoi quadri dirigenti che vivono la nostra comunità politica come uno spazio e non un partito.
A me sembra ad esempio che soprattutto con la gestione Bersani il meccanismo della cooptazione di giovani, a volte ideologizzati a sinistra (a pane di gramsci e marx, capitale e lavoro, antiliberismo d’antan) provenienti dall’unica organizzazione giovanile (la Sg prima e i GD oggi), abbia rappresentato da un lato una legittima arma di difesa del gruppo dirigente, dall’altro un errore di strategia politica di lungo periodo. Ci voleva un poco più di pluralismo e la previsione di meccanismi di cooptazione più meritorcratici e meno legati al crisma della fedeltà a culture e leader passati. Ad esempio non mi pare che si sia pensato a creare una seria scuola di formazione politica di partito in cui si pensasse di trovere sintesi culturali condivise. E qui c’è l’altro grande problema: dall’altro lato la cultura cattolico democratica non ha saputo rinnovarsi. E’ un dato di fatto che quel processo osmotico che permetteva alla fine degli anni ’80 l’emergere di figure come la Bindi si è dissolto, vuoi per il ritirarsi dell’associaziosmo cattolico vuoi per l’incapacità di saperlo ri-generare. Di fronte a tale dissoluzione, proprio quella generazione della Bindi, non è riuscita a creare nuovi strumenti se non la cooptazione difensiva dei fedeli. Così da un lato una forte organizzazione radicata in una cultura forse d’antan , dall’altro l’assenza di una proposta di partito, stanno finendo per tramortire il futuro dell’ultimo vero grande progetto politico del XX secolo. Io però continuo a crederci – e non per una ottimismo gramsciano – perchè penso che il progetto Democratico sia la risposta a questa crisi perchè, superando la frattura illuminista, riesce a guardare il mondo con gli occhi dei più deboli da sinistra e/o centrosinistra col trattino o senza. Dobbiamo solo abbandonare i vecchi clichè.