Camorristi, una risata vi seppellirà. E’ una nuova tendenza, uno sfottò continuo, una irriverenza che mette coraggio e si diffonde come un virus benevolo in tutti i quartieri partenopei anche quelli dove i clan dominano da sempre. “Ricordatevi che noi siamo uomini di Gomorra… i Gomorroidi”. “Scusami tu perché non stai battendo le mani. Hai qualche problema? Hai le mani di piombo. Hai qualche problema alle mani?” E poi improvvisamente irrompe una voce del compare che esorta: “Lelluccio, lelluccio sparalo, sparalo, sparalo, sparalo”. E’ una vera crisi isterica logorroica che si ferma solo quando il boss contrariato gli grida “E dammi il tempo” e lui di risposta : “One, two, three… sparalo, sparalo, sparalo”. E’ il pretesto. Scoppia una lite furibonda tra affiliati e il minacciato si salva. La parodia è forte.
Dai teleschermi della trasmissione cult “Made in Sud” in onda su Raidue ha preso vigore e potenza. In strada non è difficile sentire giovani che si esprimono con lo stesso linguaggio inventato dal gruppo cabarettistico dei “Ditelo voi” che nei dialoghi surreali, bene rappresentano le paranoie, i luoghi comuni, le codardie, le pochezze dei camorristi. Come sempre accade a Napoli, improvviso si è alzato questo vento, ora dei clan si comincia a ridere. Le rappresentazioni ironiche sono spiazzanti, le caricature si fanno irriverenti e descrivono con efficacia lo spaccato reale delle dinamiche interne dei clan che non molto si discostano dalla pochezza rappresentata nei dialoghi dei comici. E’ una reazione che mi piace. Del resto a Napoli, lo insegnava il romanzo l’“Oro di Napoli” scritto da Giuseppe Marotta e trasformato in film da Vittorio De Sica in cui Eduardo De Filippo nelle vesti del saggio don Ersilio, sosteneva che “con un pernacchio si può fare la rivoluzione”. “Si, perchè il vero pernacchio è un’arte può essere di due specie di testa e di petto, vanno fusi cioè cervello e passione. Il pernacchio che facciamo deve significare che tu sei la schifezza, della schifezza, della schifezza, della schifezza degli uomini”.
Efficace anche “Sodoma, l’altra faccia di Gomorra”, film satirico, da poco uscito, sulla efferata organizzazione criminale, opera prima del napoletano Vincenzo Pirozzi. Narra la vicenda di tre disoccupati Ciro, Marco ed Ettore, alla disperata ricerca di un posto di lavoro che non riescono a trovare. L’unica soluzione è chiedere alla camorra. Un lungometraggio in cui si ride, anzi, si “riflette ridendo”. “Ci siamo resi conto – spiega il regista Pirozzi – che si può far pensare anche con leggerezza. Vedere questo film è come incassare un pugno allo stomaco, ma sentirlo molto dopo”.
Dissacrare e smitizzare i clan con opere letterarie, cinematografiche e teatrali dirompenti mi sembra un passepartout nuovo che mette in crisi i tanti professionisti dell’anticamorra. I messaggi devono arrivare e non sempre i tanti convegni, manifestazioni e forum arrivano a tutti, anzi. C’è un vento anche di scrittori che sui disvalori della cultura camorrista stanno costruendo una rilettura caricaturale del fenomeno malavitoso. Cito rigorosamente degli amici come Stefano Piedimontecon il suo “Nel nome dello zio” dove l’autore racconta una vicenda surreale: il desiderio di un boss della camorra di mandare un suo uomo, un pusher di nome Anthony, ventenne e ovviamente incensurato, all’interno della casa del Grande Fratello. Tema tra l’altro che il regista Matteo Garrone che contrariamente al suo film “Gomorra” tratto dal best seller di Roberto Saviano ha affrontato nella pellicola “Reality” vincitrice del’ultimo Gran Prix al Festival di Cannes. Poi c’è la saga dello scrittore Pino Imperatore con i libri “Ben tornati in casa Esposito”, e “Benvenuti in casa Esposito” dove si narrano le avventure tragicomiche di una famiglia camorrista.
Uno spaccato divertente e allo stesso tempo crudele della Napoli contemporanea, città dalle mille contraddizioni e dalle tante difficoltà, capace però di non perdere mai la speranza in un futuro migliore. Gag, dialoghi surreali, ritratti sarcastici stanno diventando un grimaldello eccezionale per smontare nell’immaginario collettivo la sacralità, la mitizzazione della camorra, ricordiamolo: una grande montagna di merda.
(tratto dal blog di Arnaldo Capezzuto su il Fatto Quotidiano)