Caro Carmine, mi scuso innanzitutto per il ritardo. Hai voluto citarmi, insieme ad altri amici, con i quali condivido una serie di esperienze comuni ma con i quali, ovviamente, non darò una risposta comune. Non mi ritrarrò, sia solo per il ricordo delle battaglie politiche combattute insieme, verso la fine degli anni settanta, in un tempo che, ora, ci appare quasi glorioso e in quella nostra “zona caudina” così ricca di pulsioni e di contraddizioni.
La storia che racconti potrebbe “offrire il ganzo” – se non fosse per le complicate e tristissime conseguenze – a un esilarante copione di commedia all’italiana. Purtroppo, in questi ultimi anni ci siamo abituati, anche troppo abituati, a una realtà che anticipa la pur fertile fantasia degli sceneggiatori di professione. Non abbiamo più parole, ormai. Eppure, se la politica, in questo nostro curiosissimo paese, dà segnali quotidiani di follia attraverso annunci, pratiche e personaggi incomprensibili, nessuno può ritenersi estraneo.
Non m’incantano rottamazioni, demolizioni e moralismi gridati da chi ritiene di potersi considerare “estraneo” alla costruzione del paese-giocattolo che, in questi giorni, continuiamo a rigirarci, increduli, tra le mani. La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Non è, semmai, questione di qualità ma di quantità. Insieme ci salveremo o, insieme, sprofonderemo. Certo, se si continua lungo il percorso della vicenda che racconti – e che io non conoscevo per niente – sarà la seconda possibilità.
Cosa fare? Nello specifico, nulla. Conoscendoti, non posso che offrirti la mia solidarietà e fare mia la tua denuncia, non prendendo le parti di un protagonista o di un altro. Non conosco personalmente nessuno di questi signori. Sicché prendo la parte tua. Come si diceva sopra, per conoscenza diretta e in nome dell’antica militanza. L’unica cosa che io posso fare è continuare quello che faccio da più di un trentennio: portare i giovani che mi vengono affidati all’indipendenza di giudizio, alla libertà del pensiero e spiegare loro che libertà, democrazia, solidarietà e giustizia non sono solo parole che ci capita di incontrare nei libri di filosofia, ma costituiscono le basi di un progetto che copre l’intera esistenza degli uomini.
E, da un altro versante, posso continuare a studiare, con serietà e rigore, la cultura della nostra comunità di appartenenza. Lo so, è poco e non sbloccherà il problema dei capannoni. Ma c’è la prospettiva futura. Ed è per quella che noi – bene o male – lavoriamo. Sperando che, magari, domani, chi farà politica ci penserà bene prima di finire in un filmetto buono solo per sale di periferia.