Ciò che sta avvenendo a Montesarchio in relazione alla vicenda urbanistica degli Oleifici Mataluni è una cosa inaudita in quanto nella quasi indifferenza generale si sta consumando un vero e proprio “omicidio”. Al Consiglio Comunale aperto tenutosi la scorsa settimana passata erano presenti l’azienda, gli operai, il prete del paese, gli onorevoli Mazzoni e Del Basso De Caro, oltre che tre sindacalisti che si sono limitati a chiedere il rilascio della agibilità nei capannoni (ovvero il minimo sindacale).
I fatti sono noti e si possono riassumere in poche parole. Per piccole difformità urbanistiche( facilmente eliminabili se ci fosse la volontà politica del sindaco e del Consiglio comunale) rischiano di essere abbattuti tre capannoni. Un atto che colpirebbe al cuore l’intera azienda Mataluni e i suoi duecento lavoratori. Tutti i capannoni sono edificati in zona industriale. C’è un giudizio pendente davanti al Consiglio di Stato, del quale ovviamente ancora non si conosce l’esito. La speranza è che sia favorevole all’azienda ma potrebbe anche accadere il contrario. Come dice spesso un mio caro amico, nel diritto amministrativo non si accerta la verità ma si risponde a dei quesiti e, se malauguratamente i quesiti sono posti male, si soccombe anche se si ha sostanzialmente ragione. Non sappiamo, dunque, cosa verrà deciso. Ma se andasse male per l’azienda e per gli operai che si farà?
Per questo credo che sia necessario risolvere la questione prima ancora che possa produrre conseguenze tragiche. Il Consiglio comunale aperto nelle sue conclusioni ha fortemente deluso il pubblico partecipante e ha generato qualche azione fuori dalle righe. Il Consiglio, ricordiamolo, si è tenuto perché una parte di quei consiglieri comunali che ha poi votato un documento inutile era d’accordo sulla necessità di tenerlo e ha conseguentemente firmato la richiesta di convocazione. Per questo voglio pensare che ci sia ancora una possibilità e che forse il documento approvato e i fatti che ne sono seguiti sono solo il frutto della solitudine nella quale si sono trovate quelle persone. Voglio pensare che anche gli ultimi interventi del sindaco Izzo siano solo le esternazioni di una persona che non riesce ad uscire dalla spirale nella quale la comunità di Montesarchio è imprigionata. Sono convinto, infatti, che se quel Consiglio avesse fatto registrare maggiore partecipazione si sarebbe prodotto di più e meglio.
Ecco perché credo che debba scattare una grande sollecitazione da parte del territorio per dire ai politici di Montesarchio: osate di più, non abbiate paura, mettete fine a questa brutta storia, uscite dalle argomentazioni giuridiche e fate ciò che è necessario. I capannoni, se rimangono in piedi, fanno solo bene alla comunità, non portano danni a nessuno. Occorre, cioè, una mobilitazione per dire ai lavoratori: continuate a lottare nelle regole, non vogliamo vedervi in cassa integrazione, siamo con voi. L’azienda Mataluni è, infatti, un patrimonio dell’intero Sannio e dei sanniti e va per questo difesa a oltranza.
Perciò mi appello alle autorità, al signor Prefetto, al presidente della Provincia, al presidente della Camera di Commercio, ai sindaci, agli onorevoli De Girolamo, Mastella, Colasanto, agli uscenti Boffa, Formichella, Izzo e Viespoli, ai segretari provinciali dei partiti politici, agli intellettuali così abili con le parole (come Giancristiano Desiderio, che parla spesso del “potere inutile” e spero non sia costretto in futuro a parlare di “penne inutili”; o come Carlo Panella, Teresa Simeone, Nicola Sguera, Amerigo Ciervo o Billy Nuzzolillo), affinchè facciano qualcosa per impedire che un’eccellenza del territorio, che ha vinto tante battaglie all’estero, esca ora sconfitta nella propria terra.
Sono, infatti, convinto che voi tutti possiate fare qualcosa per fare uscire la comunità di Montesarchio dalla spirale infernale nella quale è precipitata.
Caro Carmine,
mi scuso innanzitutto per il ritardo. Hai voluto citarmi, insieme ad altri amici, con i quali condivido una serie di esperienze comuni ma con i quali, ovviamente, non darò una risposta comune. Non mi ritrarrò, sia solo per il ricordo delle battaglie politiche combattute insieme, verso la fine degli anni settanta, in un tempo che, ora, ci appare quasi glorioso e in quella nostra “zona caudina” così ricca di pulsioni e di contraddizioni. La storia che racconti potrebbe “offrire il ganzo” – se non fosse per le complicate e tristissime conseguenze – a un esilarante copione di commedia all’italiana. Purtroppo, in questi ultimi anni ci siamo abituati, anche troppo abituati, a una realtà che anticipa la pur fertile fantasia degli sceneggiatori di professione. Non abbiamo più parole, ormai. Eppure, se la politica, in questo nostro curiosissimo paese, dà segnali quotidiani di follia attraverso annunci, pratiche e personaggi incomprensibili, nessuno può ritenersi estraneo. Non m’incantano rottamazioni, demolizioni e moralismi gridati da chi ritiene di potersi considerare “estraneo” alla costruzione del paese-giocattolo che, in questi giorni, continuiamo a rigirarci, increduli, tra le mani. La storia siamo noi, nessuno si senta escluso. Non è, semmai, questione di qualità ma di quantità. Insieme ci salveremo o, insieme, sprofonderemo. Certo, se si continua lungo il percorso della vicenda che racconti – e che io non conoscevo per niente – sarà la seconda possibilità. Cosa fare? Nello specifico, nulla. Conoscendoti, non posso che offrirti la mia solidarietà e fare mia la tua denuncia, non prendendo le parti di un protagonista o di un altro. Non conosco personalmente nessuno di questi signori. Sicché prendo la parte tua. Come si diceva sopra, per conoscenza diretta e in nome dell’antica militanza. L’unica cosa che io posso fare è continuare quello che faccio da più di un trentennio: portare i giovani che mi vengono affidati all’indipendenza di giudizio, alla libertà del pensiero e spiegare loro che libertà, democrazia, solidarietà e giustizia non sono solo parole che ci capita di incontrare nei libri di filosofia, ma costituiscono le basi di un progetto che copre l’intera esistenza degli uomini. E, da un altro versante, posso continuare a studiare, con serietà e rigore, la cultura della nostra comunità di appartenenza. Lo so, è poco e non sbloccherà il problema dei capannoni. Ma c’è la prospettiva futura. Ed è per quella che noi – bene o male – lavoriamo. Sperando che, magari, domani, chi farà politica ci penserà bene prima di finire in un filmetto buono solo per sale di periferia. Cari saluti, Carmine.
Amerigo Ciervo