Da qualche parte, sulla luna, ci deve essere un’ampolla con su scritto: “Senno di Pepe”. E’ il cervello di Fausto Pepe ma chissà se ci sarà qualcuno, come Astolfo fece per Orlando, che lo andrà a recuperare. Eppure, uno sforzo andrebbe fatto. Come è possibile, con la storia finanziaria, amministrativa e giudiziaria che il centrosinistra a Palazzo Mosti ha alle spalle, fare una conferenza stampa per presentare una tanto nuova quanto vecchia giunta e non trovare il modo e il tempo per rivolgersi direttamente ai beneventani e prima di tutto chiedere loro scusa? Come è possibile perdere così il senso delle cose reali e pensare che basti rimescolare deleghe e incarichi per voltare pagina e dare un colpo di spugna sul passato che è tuttora presente e sarà futuro? Come è possibile credere che tutto si possa risolvere con un tanto classico quanto anacronistico rimpasto di giunta che non muta nulla e, anzi, cerca in modo goffo di passare a due professori e tecnici le patate bollenti dei pasticci urbanistici e dei buchi finanziari? Pepe davvero ha testa sulla luna se non ha capito che il mondo italiano, perfino quello beneventano, è cambiato. Mi piacerebbe capire come funziona il suo cervello, ma mi basta giudicare le sue azioni politiche.
Tuttavia, c’è del metodo. Ed è quello collaudato del trasformismo che funziona così: prima il potere e poi il consenso. Pepe sa di essere pienamente delegittimato. Non dai beneventani – che, nonostante il pelo sullo stomaco, si sono solo limitati a schifarsi e a ritirare il consenso – ma da se stesso ossia dai risultati nelle stalle e dalla superbia alle stelle. Così ha scartato da subito l’idea di dimettersi e andare al voto per farsi giudicare politicamente dai beneventani e ha imboccato la strada della manovra di palazzo: una giunta semi-vecchia e similpelle ma senza palle che si de-responsabilizza sulle cose più serie e serve per dire ai beneventani “ecco, siamo nuovi, ora ricominciamo daccapo e raggiungiamo nuovi traguardi”. Ho riassunto, ma il concetto – e anche qualche parola – è proprio questo, come se i beneventani avessero l’anello al naso. Con una città, allo stesso tempo sporca e deserta, praticamente ai piedi di Pilato, con un’amministrazione comunale che è in bancarotta, il sindaco pensa di potersi rivolgere ai cittadini dicendo “ora ricominciamo”. Neanche i delegati papali si sono mai comportati in questo modo verso i sudditi del papa-re.
Indubbiamente non bisogna avere una felice contezza dello stato delle cose beneventane e italiane se si pensa di poter riavere consenso con un rimpasto di giunta per continuare ad avere mani in pasta senza che ci sia più la pasta. Mi dispiace, ma Fausto Pepe ha perso un’occasione. Buffon, che non era juventino, diceva che lo stile è l’uomo. E lo stile in certe occasioni è tutto. Si può sbagliare, si possono fare errori, si possono mancare risultati: capita a tutti, è all’ordine del giorno, perché ce la possiamo mettere tutta ma c’è sempre qualcosa che va storto che non dipende da noi e le cose vanno come vanno. Ma ciò che non possiamo fare è non assumerci mai le nostre responsabilità, non affrontare fatti e idee per ciò che sono e pensare che in fondo in fondo la realtà, come diceva Gramsci, altro non è che un mazzo di carte truccate. Se il sindaco avesse riconosciuto errori e fallimenti avrebbe dato al suo mezzo rimpasto di giunta ancora un senso accettabile. Invece, è inaccettabile come ha agito e come si è presentato alla città attraverso la stampa: una pura operazione di trasformismo che confida nella distrazione cittadina e nella evanescenza della sottoborghesia beneventana. Totale mancanza di stile. Peccato.
Il calcolo trasformistico, però, non andrà a buon fine. Troppo è cambiata Benevento in questi ultimi anni. Se ne sono resi conto tutti. Le famiglie, le aziende, i commercianti, gli occupati e i disoccupati di prima, secondo e terza generazione. Solo il Pd, troppo occupato nella gestione del potere sopra e sotto i banchi, non se n’è reso conto. Lo capirà presto, appena mollerà l’osso.