di Nicola Sguera
Per me è sempre interessante leggere gli articoli di Giancristiano e, tranne che sul Comune di Benevento, in cui manifestiamo un sentire… comune, fargli il controcanto.
Egli parla di “saggezza” di Napolitano. Io, dunque, parlerò della stoltezza di questo ex comunista migliorista, il cui settennato si chiude tristemente, con l’ennesimo, fallimentare tentativo di ergersi a demiurgo della storia italiana recente.
Stolto fu Napolitano, dopo il fallimento disastroso dell’ultimo governo Berlusconi, fallimento politico (con la spaccatura del PDL e la cacciata di Fini), economico (con l’insipienza nella gestione di una crisi planetaria), morale (per la sexual addiction del capo del governo, sfuggita di controllo), a non scegliere la via maestra delle elezioni anticipate, con la giustificazione poco credibile di un “default” dell’Italia (terza economia europea). Nel gennaio 2012 era legittimo che la sinistra unita (quella della foto di Vasto) provasse a guidare l’Italia nei marosi della crisi. Non è detto che ci sarebbe riuscita degnamente. Ma aveva il diritto di provarci. E invece lo stolto Napolitano impose un economista di destra, fiduciario dei “poteri forti” internazionali. Lo sventurato Bersani, ahinoi, risposte. E solo ora se ne duole, sedotto e abbandonato, sia da Napolitano che da Monti… Obsolescenza programmata dei segretari democratici… Bene avrebbe fatto, lo smacchiatore di giaguari, a dimettersi la sera stessa delle elezioni, bene avrebbe fatto a non volere essere protagonista solitario di una “cronaca di morte annunciata”…
Giancristiano, da uomo di destra liberale che guarda a quella storica, ottocentesca e a quella crociana, mette innanzi tutto lo Stato. Elogia Napolitano contro il “familismo amorale” dei partiti. Come se le possibilità fossero soltanto due… E, dunque, elogia la nomina di dieci saggi (!), tutti uomini, tutti appartenenti a quella “casta” in buona parte responsabile del disastro italiano. Certificazione che l’Italia c’è, che manterrà gli impegni, perché la politica «è guardare in faccia la realtà». Invece, per fortuna, la storia va avanti e la buona politica talvolta riesce a non lasciarsi pietrificare dallo sguardo di Medusa della realtà, del pensiero unico, e a immaginare uscite di sicurezza.
Siamo nel mezzo di una transizione complicata, che potrà avere sbocchi diversi, non necessariamente positivi. Abbiamo la possibilità “rivoluzionaria” per un paese come l’Italia di superare l’impasse della partitocrazia degenerata e di mettere in discussione i dogmi dell’Europa del grande capitalismo finanziario. Proprio la debolezza statuale italiana (lo scriveva qualche anno fa Roberto Esposito) potrebbe paradossalmente rivelarsi la risorsa che ci consente di superare le secche della iper-modernità.
Il banco di prova, la scelta fra conservazione e trasformazione, sarà quella del nuovo capo dello Stato. Se al posto di vecchi arnesi della politica (da Amato a Prodi, da Pera a Letta) sarà eletta una “eccellenza” della cultura, dell’arte, della scienza, o un politico atipico (penso a Rodotà), allora potremo dire che l’Italia ha deciso di non avvitarsi su se stessa, di uscire a testa alta dal quasi-ventennio berlusconiano. Dopo di che, con un governo istituzionale, fatta la riforma elettorale, anche semplicemente tornando alla legge precedente, si potrà procedere al secondo tempo di questa trasformazione, che dovrebbe sancire la “rottura” definitiva dei vecchi contenitori elettorali, e liberare nuove energie, a destra e sinistra, finalmente “oltre il Novecento”. Ovviamente, e a prescindere dalla durata dell’esperienza e dalle sue contraddizioni, va dato atto al M5S di essere il motore di questa benefica trasformazione in atto.