In poco tempo papa Francesco ha fatto tante cose. Nulla di concreto, ma molto di simbolico. Ma a volte, soprattutto in materia religiosa, le cose concrete passano attraverso i simboli e il simbolo è ciò che sta per altro. In questo caso è ciò che sta per Altro. Il papa venuto “dalla fine del mondo” ha esordito con un umile “buonasera”, ha pagato di tasca propria il conto della pensione, si è fermato tra gli uomini e le donne come pellegrino tra pellegrini. All’altro papa – quel Joseph Ratzinger che lasciando il soglio pontificio ha detto “sono la fine del vecchio e l’inizio del nuovo” – si è rivolto dicendogli: “Siamo fratelli” e lo ha invitato a pregare insieme, uno accanto all’altro nella cappella di Castel Gandolfo. Il papa argentino che ha origini piemontesi – ma anche una zia a Castellammare, mi pare che siano un po’ tutti suoi parenti vicini e lontani – vuole avvicinare la Chiesa al suo popolo. Per raggiungere questo obiettivo, Francesco ha iniziato ad avvicinarsi personalmente agli altri, vuole confondersi tra la gente, fratello tra fratelli. Vedrete, uscirà anche per le vie di Roma.
In verità, non sarebbe una novità assoluta. I pontefici un tempo non stavano solo chiusi nei palazzi romani, da San Giovanni al Quirinale, ma uscivano e conoscevano quella Roma che loro stessi costruirono come la capitale della cristianità. Un papa in particolare – che prima di diventar papa fu vescovo di Sant’Agata dei Goti, monsignor Felice Peretti, e nella sua Sant’Agata ora lo si sta riscoprendo grazie all’opera della Biblioteca Melenzio e di Claudio Lubrano – aveva la buona abitudine di camminare per le vie di Roma, di frequentare osterie e sentire cosa dicesse il popolo romano. Era Sisto V che Roma la rifece da capo a piedi, non solo in palazzi, ponti, vie e fontane ma anche disegnando e immaginando la Roma moderna dei secoli a venire. Proprio ieri, leggendo l’intervista di Stefano Lorenzetto con Lauretta Colonnelli, autrice del libro Conosci Roma? (Edizioni Clichy), mi sono imbattuto in questa “uscita papale”: “Anche Sisto V, eletto nel 1585, si confondeva tra il popolino per capire se e quanto fosse gradito”. Per i romani Sisto V era “er papa tosto” mentre i santagatesi lo chiamavano “’o papa insisto” che è sia un gioco di parole con il suo nome Sisto sia l’equivalente del romanesco “er papa tosto” e sta per gagliardo, intelligente, capace, insomma, cazzuto. In fondo, papa Sisto non era il papa dei nostri giorni che non ha potere temporale – almeno così dovrebbe essere: “Voglio una Chiesa povera per i poveri” ha detto il gesuita – ma era il papa-re che sommava in sé il potere terreno e il potere celeste. Troppo per un uomo, anche se papa.
I film di Luigi Magni – il regista romano che intervistai proprio a Sant’Agata dei Goti nella chiesa di san Francesco e mi disse: “Sono comunista da una vita ma cristiano da duemila anni” – hanno provato a raccontare e descrivere proprio la Roma del papa-re, anche se forse l’immagine che ognuno di noi ha – questione di generazioni – nella testa del papa-re è quella del grande Paolo Stoppa nel film Il marchese del Grillo con una delle più riuscite interpretazioni di Alberto Sordi. Proprio in questo film di Mario Monicelli, il marchese del Grillo entra in un’osteria, quella dove dice rivolgendosi ai suoi amici e compagni di scherzi e bevute “perché io so’ io e voi nun siete un cazzo” e in una di queste osterie era solito entrare anche Sisto V ma camuffato da popolano. Un giorno un oste che non l’aveva riconosciuto si mise a parlar male di lui: del grande Sisto. Non l’avesse mai fatto. Il papa-re non ci pensò su due volte: lo fece arrestare e decapitare. Gli amici vollero ricordare il povero oste decollato con una testa di marmo che si può vedere incastonata tra due finestre del secondo piano nel palazzo al numero 34 di Piazza Navona. Tutto sommato gli andò anche bene.
Il boia romano, detto Mastro Titta, faceva rotolare parecchie capocce. Ma morire decapitati era quasi una fortuna. Perché il boia dello Stato pontificio, che tra il 1796 e il 1864 eseguì 516 sentenze capitali, non si avvaleva solo della ghigliottina – raffinata invenzione dei francesi – o il cappio per l’impiccagione: aveva anche altre specialità come la mazzolatura con il maglio e lo squartamento. Altri tempi. Oggi il papa non è più re, anche se i romani – come i beneventani – hanno una gran nostalgia del papa-re. Forse, è una nostalgia degli italiani che, per attualizzare le parole di Magni e stravolgere il senso della famosa litote crociana, sono quel che sono perché hanno vissuto sempre come figli e sudditi di santa romana chiesa.