Voterò, sia alla Camera che al Senato, Rivoluzione Civile, pur consapevole dei limiti (enormi) di questa lista che appare, per ora, più un cartello elettorale che una proposta politica organica. Lo faccio senza soverchie illusioni, come, credo, tutte le persone “lucide” (per evocare una categoria utilizzata a proposito nella nostra città al fine di orientarsi nella difficile fase che stiamo attraversando).
Come Amerigo Ciervo, anch’io, da un anno, partecipo all’esperienza – che considero innovativa e “radicale” nella teorie e nelle pratiche – di ALBA. All’interno dello stesso gruppo promotore dell’Alleanza Lavoro Beni/Comuni Ambiente c’è una forte divaricazione tra chi, ad esempio, come Luciano Gallino voterà per SEL (con motivazioni analoghe a quelle di Amerigo), chi invece, come Marco Revelli, voterà per Rivoluzione Civile.
Ho partecipato al processo che ha portato, alla fine, alla nascita e alla presentazione della lista capeggiata dal magistrato Antonio Ingroia. Essa scaturì da un appello (“Cambiare si può”) redatto da molti dei promotori di ALBA. Era una “chiamata all’armi” per la “società civile”, per le energie che si erano disaffezionate alla politica castale e corrotta, incapace di affrontare le emergenze, in primis quelle economiche e sociali, del nostro paese. Con un lavoro entusiasmante, fatto soprattutto di discussioni aperte, in tutta Italia si tennero assemblee, cui aderirono anche militanti di partiti come Rifondazione Comunista, Comunisti italiani e Verdi, avvicinandosi, intanto, un altro pezzo di sinistra, l’Italia dei Valori, a questa proposta. Attraverso una serie di accelerazioni, derivate anche dal precipitare della situazione politica verso le elezioni anticipate, a guida del processo costituente di un nuovo soggetto si posero politici “professionisti” come Luigi De Magistris e Leoluca Orlando, poi affiancati dai leader della c.d. “sinistra radicale” (Ferrero, Diliberto, Bonelli, infine Antonio Di Pietro). Ricostruisco questa storia, che ho vissuto “dall’interno”, per spiegare la mancanza di soverchie illusioni sul progetto. Ne vedo il limite proprio nella scelta di privilegiare le “certezze” (economiche e organizzative) degli apparati partitici piuttosto che l’entusiasmo anarcoide della società civile e dei movimenti. Alla fine, Rivoluzione Civile è sostanzialmente un cartello elettorale che potrebbe diventare un nuovo soggetto politico se le elezioni dovessero premiarla, ma lontano dalle forme e dai contenuti prospettati dall’appello “Cambiare si può”. D’altronde, per citare Revelli, siamo al «finale di partito»…
Ma allora perché la mia dichiarazione di voto così netta? Potrei rispondere evocando il logo scelto per la lista (pure disturbante per la presenza eccessiva del nome di Antonio Ingroia): quelle sagome rosse ispirate al Quarto Stato di Pellizza da Volpedo. Voglio dire, cioè, che per me Rivoluzione Civile è una scelta obbligata, avendo maturato l’idea che l’emergenza sociale ed economica di migliaia di persone sia la vera emergenza di questo tempo in Italia. E che solo una netta scelta di campo (si sarebbe detto un tempo: di classe) può invertire la tendenza. Perché non SEL allora? Perché Vendola mi appare schizofrenico, nella sua teoria “radicale” che si coniuga ad un accordo governativo vincolante rispetto a parametri europei ispirati alle più bieche e vetuste teorie conservatrici (fiscal compact, pareggio di bilancio, ecc.).
A differenza di Amerigo, però, non penso che siamo di fronte ad un’emergenza che giustifichi un “fronte popolare” o il “voto utile” (il paragone, cioè, con il “machiavellismo” di Lincoln non regge). Nella peggiore delle ipotesi (ma mi appare davvero fantascienza) un berlusconismo frammentato al suo interno (che ha esaurito la sua spinta) potrebbe avere una rabberciata maggioranza con la quale galleggiare. Nella migliore delle ipotesi un clamoroso exploit elettorale del Movimento a 5 Stelle (che seguo con interesse e curiosità da anni) potrebbe aprire immediatamente un nuovo capitolo della storia italiana. Nell’ipotesi più realistica un centro-sinistra moderato nelle teorie e nelle pratiche, alleandosi con un centro-destra “perbene” – gestirà l’esistente, prono alle indicazioni europee, provenienti da poteri non eletti democraticamente.
Dunque, condividendo le analisi spesso provocatorie di Pierfranco Pellizzetti, credo che il voto a Rivoluzione Civile sia non solo un voto anticastale ma anche il contributo ad aprire una nuova fase della vita politica italiana, una “terza Repubblica” in cui la «lotta di classe dopo la lotta di classe» torni ad essere al centro dell’agenda politica. Senza mai dimenticare che il quindicennio alle spalle ha mostrato l’importanza delle lotte sociali e dei movimenti in tutto il mondo (dalla No Tav a Occupy) che devono rimanere il momento centrale di qualunque ipotesi di trasformazione della realtà, a prescindere dalla coloritura politica dei decisori politici.