Johan Cruyff diceva: «Il calcio è due cose: saper passare il pallone e saper controllare il passaggio che fanno a te». Più i giocatori sanno «passare e controllare», più le partite sono intense. Ecco perché Walter Mazzarri dice che le partite durano novanta minuti, ma in serie A si gioca di più, perché il calcio è più potente, lo stop più preciso, la conclusione in rete più rapida. Con giocatori bravi aumentano le possibilità di gioco e gli elementi del calcio diventano più che mai la tecnica, la tattica, il tempo. Ma per avere i più bravi ci vuole un altro elemento: i soldi. Non è un’opinione. È storia. Silvio Berlusconi, in ventisei anni di Milan, ha speso oltre seicento milioni. Moratti idem per l’Inter (ma con risultati diversi). Franco Sensi è riuscito a vincere uno scudetto alla Roma ma ha dovuto prosciugare il suo patrimonio. Della Juventus degli Agnelli non è il caso di parlarne. La regola non scritta del calcio, nota ma non detta, è questa: vince chi spende. Oggi c’è una sola eccezione. Quale? Il Napoli di Mazzarri.
Negli ultimi cinque anni il calcio è cambiato. Vincono i molto ricchi e la bravura consiste soprattutto nell’avere i soldi e nel saperli spendere. Lo sceicco Hamad bin Khalifa Al Thani controlla, tra le tante cose, il Paris Saint Germain. Roman Abramovich è presidente del Chelsea. Soldi e diritti televisivi hanno cambiato il calcio più di quanto non siano riuscite a fare le due regole di Cruiff. Negli ultimi cinque anni i cartellini dei giocatori sono cresciuti vertiginosamente: i bravi si fanno pagare per restare, i meno bravi li imitano. Risultato: le squadre più forti sono in rosso. Mario Sconcerti illustra la storia di questi cinque anni che hanno cambiato la storia del calcio nel libro Il calcio dei ricchi (Dalai editore). Ne ha ricavato tre Postulati: 1. Se si vuole vincere, la cosa più importante sono i soldi. Vince solo chi spende molto; 2. I soldi sono condizione necessaria per vincere, ma non danno la certezza di vincere; 3. La bravura di una società conta solo per come investe i soldi e non per come ne fa a meno.
Una vergogna? Bah, gli sceicchi e i petrolieri hanno fatto saltare il banco, ma non hanno inventato nulla: è dal dopoguerra che i ricchi nazionali hanno fatto valere il colore dei soldi. Quando Beppe Savoldi arrivò a Napoli fu pagato due miliardi e si gridò allo scandalo. Era solo l’inizio. Poi vennero i cinque miliardi della Juve per Paolo Rossi e non ci si fermò più. Tuttavia, «c’è una sola società che in questo momento potrebbe mettere in difficoltà il Primo Postulato del calcio, che cioè non è possibile vincere restando in attivo nei bilanci. È il Napoli di Mazzarri-Cavani-Hamsik». Il Napoli, come il Verona del 1985 o la Samp del 1991 – altro mondo, in verità – è un esempio virtuoso, anche se è un’eccezione che conferma parzialmente la regola: due anni fa la società pagava 28 milioni di stipendi, l’anno scorso 41 e quest’anno 53. Nel giro di tre anni il monte-stipendi del Napoli raddoppierà. Per ora s’incassa il premio di una generazione pagata poco senza l’obbligo della vittoria. Ma risalendo la classifica, saliranno gli stipendi. Lo dimostra eloquentemente la cessione di Lavezzi al Paris Saint Germain dello sceicco e il rinnovo di Cavani che tocca il cielo stellato sopra di noi. Oggi Cavani, che se giocasse in un’altra squadra europea avrebbe già vinto il Pallone d’oro, vale una cifra stratosferica. Ed è questo il quarto Postulato del calcio moderno: se non si deve vincere, nel calcio spesso si guadagna.
(tratto da Liberal)