L’utopia non è realizzabile e il potere, nel suo esercizio, è realista: per definizione. Tuttavia, chi, come Nicola Sguera, professa il contrario, non è infantile, e certamente non è vero che “non conta un cazzo”; ha però ragione Giancristiano Desiderio quando sostiene che c’è una parte della sinistra che vive con il “tic dell’altrove”. Provo a spiegarmi.
L’utopia è, a mio modo di vedere, un elemento necessario per un qualsiasi percorso, non solo politico: avere un sogno e fare di tutto per realizzarlo è forse uno dei motori più forti su cui l’uomo possa contare; il sogno è irrealizzabile, l’utopia (dal greco, il “non luogo”) è irraggiungibile; però, se si prova a fare come il calabrone (come diceva Newton “secondo le leggi della fisica il calabrone non può volare […] ma non lo sa, e perciò continua a farlo”) allora possiamo dare il meglio di noi stessi e avvicinarci a quanto di più concreto quel sogno possa diventare in realtà. Se quello che ho detto prima è sensato, si comprende allora la straordinaria potenza e importanza dell’utopia per la politica. Ciò detto, parlare di utopie realizzabili è assolutamente sbagliato e moralmente scorretto: se l’utopia è, allo stato attuale delle cose, realizzabile, allora non è affatto un’utopia, e l’uso di questo termine – e del concetto che sottende – è, più che altro, un espediente per giustificare il fatto che un certo obiettivo, pur essendo raggiungibile, ancora non è stato raggiunto; in altre parole, è una scusa. Questa scusa può essere usata dai gruppi, sistemici, al potere, o dai gruppi, anti – sistemici, non al potere: dai primi, per giustificare i loro fallimenti (l’accento è posto più su utopia); dai secondi, per mostrare come un mondo migliore sarebbe possibile, se fossero loro a guidarlo, rompendo i limiti che il sistema (gestito da altri) impone. In entrambi i casi sono bugie: nel primo caso, coprono il fallimento della politica; nel secondo, (auto)assolvono i falliti della politica.
Non è vero che questa sinistra, che Desiderio definisce “infantile”, non “conta un cazzo”: invece, la sua funzione è fondamentale, ed è quella di spostare più in su l’asticella, di mostrare all’altra parte della sinistra – quella “che conta” – qual è l’orizzonte. Il problema è che questa parte della sinistra vuole, brama più che mai, arrivare al potere: è convinta, in virtù di una sua autodichiarata superiorità morale e civile, di essere la migliore a governare; la sua convinzione le viene dal fatto che lei – e solo lei – e cosciente dell’utopia e della sua realizzabilità, e che lei – e solo lei – sarà in grado di realizzarla. Questo modo di pensare, figlio del marxismo e dello stalinismo, porta a quella che von Hayek definiva “presunzione fatale”: tutti i grandi politici marxisti, da Stalin a Labriola, sostenevano di essere “i migliori”, dato che solo loro avevano visto la verità, perché solo loro avevano capito l’ideologia; ed essendo migliori, potevano la strada migliore per tutti. L’epistemologia contemporanea ha dimostrato che questo approccio è sbaglio, ed è stato falsificato (per dirla con Popper): è impossibile, anche per il migliore, accentrare la decisione e statalizzare tutto, perché esistono “conoscenze disperse di luogo e di tempo” (von Mises), che si generano all’istante, e che non permettono a nessuno di prevedere la soluzione a tutto; queste conoscenze, in altre parole, fanno si che quello che non è possibile mai prevedere con assoluta certezza le conseguenze di un’azione. Ma, se non si possono prevedere le conseguenze di un’azione, se non è possibile imboccare una strada sapendo esattamente dove porterà, allora garantire la realizzabilità di un’utopia è una truffa bell’e buona.
Questa sinistra – che secondo me merita di essere definita “vetero – sinsitra”, tutt’altro che sinistra infantile – è costretta al tic dell’altrove: è l’unico modo per conciliare il loro habitus mentale post – marxista, la loro superiorità, con le loro fallimentari esperienze di governo, col fatto che una sinistra “nuova” – che in gran parte ha imparato la lezione di Popper, di von Hatek, di von Mises, e soprattutto del mercato – riesca realisticamente a fare più passi avanti verso quell’utopia che loro, gli “altri”, sanno solo magnificamente tratteggiare: poesia, vero; ma nulla più.