Occhi gonfi e senza più lacrime. Le parole come sussurri. Aspetta invano che la sveglino dal sonno e le dicano: “E’ stato un brutto incubo”. Glielo hanno ammazzato a 21 anni. Era incensurato. Un bravo ragazzo che si dava da fare. Un ragazzo perbene cresciuto in una famiglia perbene. Qualcuno lo ha ucciso sparandogli un solo colpo di pistola, che lo ha centrato tra la schiena e il gluteo sinistro.
E’ il dolore lancinante di una madre. Il lamento di un genitore che 21 anni prima portava quella creatura nel grembo, già lo immaginava grande e non le mancavano i momenti d’ansia: “Non tornare tardi. Non farmi stare in pensiero. Con chi esci? Comportati bene e rispetta gli altri. Se vedi cose strane allontanati”. Vincenzo Priore non c’è più. Ammazzato come un camorrista. Sono le 23 di un mercoledì qualsiasi di metà novembre. Scelgono una discoteca di Sant’Antimo, comune alle porte di Napoli per divertirsi. Il locale è affollato. Si balla, si beve, ci si diverte. Dal secondo piano qualcuno pare abbia alzato il gomito: tappi, schizzi di champagne e prosecco finiscono un po’ dappertutto perfino sulla pista dove si balla. Non è niente. E’ uno scherzo. Cose che accadono. Qualcuno non gradisce. Lo schizzo avrebbe macchiato una camicia nuova. Forse il tappo saltando avrebbe centrato un volto. E’ solo una scusa. La lite divampa. A fronteggiarsi due comitive che iniziano ad insultarsi: al punto che, per sedare gli animi intervengono i buttafuori. Tutto sembrava finito. Scaramucce “normali” da locale. La serata si conclude. Non sarà così.
Vincenzo è in auto con un paio di amici e un conoscente stanno tornando a casa. Lui abita nella zona di Secondigliano. Vengono intercettati dal gruppo avverso, quello della lite. Forse li aspettavano. Vogliono dargli una lezione. Anche solo spaventarli. Li inseguono. Li bloccano. Dall’auto in corsa partono i colpi di pistola. Il vuoto. La morte. Non si sa nulla. Indagini ferme. Caso già archiviato dalla stampa. Una storia simile a tante altre storie. La vita a Napoli vale poco. Al funerale, rabbia e commozione. Non c’è un centimetro libero nella Chiesa di Santa Maria della Natività a Secondigliano.
Tutti in silenzio a vegliare quella maledetta bara bianca avvolta dalla maglietta di Edinson Cavani, il suo idolo. Don Giuseppe Provitera, il parroco, potrebbe parlare di Paradiso, dell’esistenza di un’altra vita, al sentirsi comunità in un momento così tragico invece no. Don Provitera è prete di strada. Non si nasconde nella sacrestia. Con determinazione, scandendo parola per parola si rivolge a chi ha impunemente premuto quel grilletto: “Siete degli assassini, convertitevi ed abbandonate il male. La vostra violenza è la rovina di Napoli e di questa comunità”.
C’è una madre che non si dà pace. Un letto vuoto e la sensazione che Vincenzo prima o poi torni a casa e in punta di piede si avvicina e le dice : “Scusa ho fatto tardi. Domani ti racconto” e con un bacio sulla guancia la saluta.
(tratto dal blog di Arnaldo Capezzuto su il Fatto Quotidiano)