Ha importato tonnellate e tonnellate di Cobret, la famigerata ‘droga sporca’ che fa saltare il cervello a chi ne fa uso. Sulla sua coscienza, se di coscienza si può scrivere, ha almeno due generazioni di gioventù campana che per ‘stare fuori di testa’ si sono bruciati la vita.
E’ rimasto nell’ombra negli anni delle guerre di camorra. Silenzioso e taciturno. Criminale invisibile dal lungo apprendistato. E’ cresciuto all’ombra del boss Paolo Di Lauro – Ciruzzo ‘o milionario. Nello scenario mutuante e accelerato del nuovo e autodistruttivo potere dei clan si è ritagliato un suo piccolo spazio autonomo. Autorevole e rispettato dagli emergenti: i senza storia criminale.
Sempre attento e zelante a non far saltare mai i precari equilibri. “Meglio una parola in meno che una in più” questa la filosofia di Antonio Leonardi, 52 anni, narcotrafficante di spessore, acciuffato giovedì scorso in un tugurio che divideva con la sua mogliettina.
‘Chiappellone’ questo il suo soprannome, si era dovuto schierare: lo hanno imposto le dinamiche fluide delle camorre della periferia Nord della città. Non se l’è sentita subito di scegliere ad occhi chiusi. Ha preso tempo e convocato un incontro sul ‘Lungomare liberato’ di Mergellina dove ha discusso con suoi pari. Poi ha abbracciato il gruppo emergente dei cosiddetti ‘Girati’ della Vanella Grassi, una fazione che in una guerra senza esclusioni di colpi vuole conquistare le piazze di spaccio di Scampia.
Leonardi è un criminale, siamo d’accordo. Una faccia di merda, siamo d’accordo. La sua vita si deve concludere in una cella al 41 bis, siamo d’accordo. Però – consentitemi – non è uno qualsiasi. Il boss ha sempre ricoperto un ruolo da manager nella camorra: solide relazioni internazionali, una rete estesa di corrieri e contatti di alto livello che gli permettevano anche di organizzare in 24 ore lo stoccaggio di tonnellate e tonnellate di stupefacenti. Tra l’altro Leonardi viene indicato anche come un abile riciclatore di proventi illeciti in attività commerciali nella Capitale e in particolare nel settore del business dei centri scommesse sugli sport nazionali.
Comprendete che la sua presenza, il suo know how ha significato per la nascente fazione dei ‘Girati’ un’impennata di affari. ‘Chiappellone’ non era tranquillo. Da mesi era braccato. Fuggiva da un covo all’altro per scansarsi le manette. Da poche settimane era stato inserito dal Viminale nella lista ristretta dei wanted. Il manager della droga ‘lavorava’, pianificava e discuteva le strategie espansionistiche della Vanella Grassi. L’intelligente della Questura di Napoli da circa un mese aveva concentrato i migliori uomini e mezzi sulle sue tracce. Acciuffare Leonardi significata bloccare parte dell’approvvigionamento degli stupefacenti – questo ossessivamente gli inquirenti si ripetevano nei corridoi degli uffici – .
Fiato sul collo. Indagini serrate e segrete. Venti uomini scelti della sezione catturandi della squadra mobile della Questura di Napoli e del commissariato Vicaria-Mercato per braccarlo. Una pressione investigativa che tra la vigilia di Natale e Santo Stefano si è fatta asfissiante. Con l’arresto di ‘Chiappellone’ comincia ad indebolirsi il gruppo dei ‘Girati’. Resta uccel di bosco con gradi – sulla carta – di capo Antonio Mennetta, un bamboccione della camorra che vede la sua azione criminale molto ridimensionata e quasi assorbita dalle strategie dell’altro latitante, Marco Di Lauro, 32 anni, figlio del boss detenuto Ciruzzo o’ milionario, assetato di vendetta contro i cartelli Amato-Pagano e Abete-Abbinante-Notturno (quest’ultimi indeboliti dai recenti arresti di Raffaele Notturno e Arcangelo Abbinante) e che scatenarono la prima faida contro suo padre.
Non appena ‘Chiappellone’ si è visto addosso gli agenti ha abbassato il capo e sussurrato: “Sono io la persona che state cercando”. I segugi degli 007 della Questura sono arrivati a lui grazie a sua moglie intercettata sempre più spesso a fare la spesa nella zona a ridosso della Stazione Centrale di Napoli. Pedinamenti sempre più invasivi e precisi che ben presto hanno portato i poliziotti in un palazzetto anonimo di tre piani di via Giuseppe Ricciardi. Era qui che si nascondeva ‘Chiappellone’ con sua moglie. Un appartamento modesto con una branda a due posti, un frigo e qualche mobile. Un tugurio giusto per trascorrere l’ultimo dell’anno e poi organizzare un’altra fuga in un altro covo. La domanda sorge spontanea: “Alla fine conviene fare questa vita di merda?”.
(tratto dal blog di Arnaldo Capezzuto su il Fatto Quotidiano)