Clemente Mastella vuole lasciare Strasburgo per Roma e allora gli ho detto che può tornare lui ma non il mastellismo. Mi ha risposto – in pieno clima natalizio – dicendo che lui è più vicino a San Paolo che a Mario Monti. Anche io sono più vicino a Hegel che a Ferdinando Adornato ma me lo tengo per me per non far ridere nessuno, neanche Hegel che pur era uomo di spirito. Clemente, che nonostante tutto è il meglio del peggio e non riesco a farmi stare antipatico, ha anche aggiunto che lui difende il territorio e il Mezzogiorno. Eccolo qui il mastellismo di cui non avevamo bisogno ieri e non abbiamo bisogno oggi e mai più: la pretesa che la politica e i politici difendano il territorio e, come se il territorio – nel nostro caso il Sannio – fosse malato, ne siano i curatori. Dove siamo arrivati con questa concezione clientelare e perversa della politica e del rapporto tra Stato e comunità o centro e periferia? Al fallimento e i politici sono sì dei curatori, ma curatori fallimentari.
Nella prossima campagna elettorale avremo tutti candidati che diranno di difendere il territorio, il Sannio e il Sud. Una tragedia. Il governo Monti, piaccia o no – persino al di là del suo successo e del suo futuro – ha reso la politica del ventennio bruciato della Seconda repubblica una ferro vecchio. Ne avrete ascoltate di cose e ne avrete lette ma – a conti fatti – dove sta la differenza tra loro e Monti? Sta in questo punto preciso: Monti vuole consenso per risolvere problemi, loro agitano problemi per avere consenso. Purtroppo, i fantasmi politici sanniti appartengono alla seconda categoria e ancora una volta si presenteranno a voi sotto l’aspetto di madonne pellegrine o di santantonioabate dicendo di essere capaci di fare miracoli e di rappresentare i problemi del territorio a Roma – ora a Berlusconi, ora a Bersani, pensa te – per averne in cambio risorse, interventi e bacchette magiche. Si tratta di fole, illusioni, inganni. Una volta gli stessi cittadini potevano anche credere a questa bassa propaganda territoriale, ma oggi non è permesso a nessuno crearsi alibi auto-assolutori. Non c’è e non ci sarà nessun investimento pubblico per il Sannio. Per due motivi: primo perché non ci sono soldi, secondo perché sono un disastro.
I candidati sanniti sono vecchi. Non è questione di anagrafe. Mario Pepe appartiene a un’altra epoca, a un’altra storia, a un altro secolo. L’onorevole Pepe – la cui formula lessicale sembra una presa in giro per tutta la rappresentanza territoriale – che cosa farà? Farà la conta dei treni che non passeranno più per Benevento e la valle caudina: una sorta di capostazione all’incontrario senza paletta. Poi c’è Umberto Del Basso De Caro il cui maggior contributo alla politica territoriale potrebbe essere quello di accorciarsi il cognome. E dall’altra parte? Beh, c’è la giovane Nunzia De Girolamo la quale, però, con il suo berlusconismo antieuropeo è diventata in un sol colpo la più vecchia di tutte. Quindi c’è Pasquale Viespoli che è sempre molto preso dalla conservazione della sua identità e per essere eccessivamente coerente del suo profilo politico alla fine per troppa coerenza sarà incoerente e butterà a mare il patrimonio politico e amministrativo e di relazione che ha costruito negli anni.
Tutto questo accade perché nessuno ha la forza di caricarsi sulle spalle la verità di questi anni di decadenza e dire con coraggio che è giunto il momento di cambiare il rapporto tra lo Stato e il territorio. I politici non sono più in grado di fare quanto hanno sempre fatto in modo naturale e per tradizione: mediare portando richieste ed esigenze territoriali e clientelari a Roma per averne attenzioni, risorse, pubblici uffici in cambio di consenso. Questa storia è finita. E’ finita da un pezzo. Ma la politica è sempre quella di un tempo e invece di cambiare stile e – fatemi usare una parola bella e impossibile – paradigma fa qualcosa di peggio: abbassa il livello della intermediazione fino ad arrivare a mediare con un piatto di lenticchie (naturalmente, per i sanniti mentre il sottobosco dei partiti si rimpinza negli uffici, nelle partecipate, nei consigli d’amministrazione). Se aspettate che la cosiddetta politica del territorio cambi, aspettate inutilmente. Solo voi – il territorio – può modificarla, in un solo modo: diventando più autonomi e indipendenti dalla politica.
Auguri.