“Ancora tu. Ma non dovevamo vederci più?”. La canzone di Mogol-Battisti si addice alla lettera al ritorno di Clemente Mastella nella politica nazionale. L’ex Guardasigilli dell’ultimo governo Prodi – governo al quale proprio lui da ministro della Giustizia diede il colpo di grazia – è stato un politico della Prima e della Seconda repubblica e vuole giocare anche la partita della Terza. Il “luogo politico” che gli sta a pennello come un abito di buona sartoria è naturalmente il Centro. All’ex sindaco di Ceppaloni non mancano né i modi né gli argomenti: “Centomila voti alle Regionali 2010 in Campania”. Un gruzzoletto di voti non male che può far comodo, soprattutto se i centristi puntano ad ottenere la maggioranza al Senato. Tuttavia, l’impresa vale la spesa? Perché Mastella è qualcosa di più di centomila voti campani: è a suo modo un simbolo o un riassunto di fine Novecento del dualismo tra Nord e Sud e del fallimento delle classi dirigenti meridionali. Così Casini – il suo amico Pierferdinando, al quale, in verità, Clemente in una accesa campagna elettorale a Benevento fece in maniera inclemente pensare addirittura di essere un cattolico divorziato – sta valutando i pro e i contro perché il mastellismo non sembra sposarsi bene con il montismo. E’ il punto più contraddittorio del “ritorno di Mastella”.
Mastella ha definito Monti “il nuovo Berlusconi”. Una definizione bizzarra. Il Professore è l’opposto del Cavaliere. Sono diversi tanto nello stile quanto nella sostanza politica. In Monti si è visto un “tecnico”. In realtà, Monti ha dimostrato di essere un politico e un buon politico. Berlusconi pensa che “nulla ha più successo dell’eccesso”: il suo mezzo e il suo fine è la “meraviglia” di messer Marino. Il professore lombardo, invece, ritiene, alla maniera di Carlo V, che “la moderazione è sempre la tattica preferibile”. Il montismo è altra cosa dal berlusconismo: non tende all’apparire ma all’essere-reale. Ma Monti è cosa diversa anche nelle parole, nell’eloquio, nei discorsi. Il suo discorso non è frasi fatte ma frasi articolate, non porta avanti slogan ma concetti, non fa promesse ma argomenta. Non pensa che il torto stia da una parte e la ragione dall’altra. Persino l’ironia è diversa: stupefacente nel Cavaliere, stimolante nel Professore. L’ironia del primo copriva, l’ironia del secondo scopre. Al di là delle differenze umane, però, ciò che conta realmente sono le differenze politiche. Una su tutte: Monti dice la verità. E’ propria questa la novità di rilievo che riguarda, sì, il berlusconismo, ma anche il mastellismo. Quest’ultimo, che ha in Mastella il suo interprete principale, è una delle molte manifestazioni di quella che Paolo Macry chiama la governance centro-periferia in cui Mastella, come tanti altri, ha giocato il suo ruolo di mediatore tra le esigenze e le pressioni delle comunità meridionali e la ricerca del consenso attraverso la spesa. Ma è una storia logora. Allora, se Monti si è assunto il compito di dire agli italiani e ai meridionali la verità sullo stato della nazione, forse potrà tornare Mastella, ma non certo il mastellismo.
(tratto dall’edizione odierna del Corriere del Mezzogiorno)