Io non riconosco altro che la terra osca. Non certo per discendenza ematica (i miei sono originari di un paesino dell’avellinese), né per vicissitudini cardiache (la mia compagna è un’avellinese trapiantata a Benevento), tanto meno per mere questioni commerciali (ho avuto la fortuna – e spero di averla ancora – di curare “Oschi Loschi”, antologie di racconti di autori oschi). Semmai quest’ultima è una genuina conseguenza. Molto più semplicemente: c’è un territorio che mi fa sentire a casa, e questo territorio abbraccia il Sannio e l’Irpinia, ma si allunga fino al Molise, lambendo da una parte l’Abruzzo e dall’altra Puglia e Basilicata.
È un territorio di castagne e di janare, verde di bosco e giallo di grano, sinuoso per le colline e spigoloso per le cime, ebbro di vigne e duro di roccia, che sa qualche volta di muschio, qualche altro di mietitura e qualche altro ancora di concime. Ecco, tutto qua, e molto prima che lo scoprissi (grazie alla mia compagna Maria Elena) dagli studi di uno storico britannico, Edward Togo Salmon, il quale nel suo “Il Sannio e i Sanniti” (a proposito, cara Einaudi, quando ti deciderai a ristamparlo?) ci raccontava: “se ci si attiene ai fatti e non alla propaganda romana, la situazione è chiara. Il comportamento degli Irpini prova che essi erano veri Sanniti. La loro partecipazione alle guerre sannitiche e alle guerre con Pirro deve essere considerata storicamente certa”. Ancora: “perfino Polibio, il primo a menzionarli come popolo a sé stante, li considera come Sanniti nel suo elenco delle forze militari italiche nel 225 a.C”. Infine: “le loro principali città erano Abellinum, Aeclanum, Beneventum (o meglio, nel periodo in cui appartenne loro, Maleventum), Compsa e Trevicum…”.
D’altronde gli “uomini-lupo” (dall’osco (h)irpus che significava appunto “lupo”) abitavano la parte più meridionale del Sannio, nella zona comprendente le vallate dell’Ofanto, del Calore e del Sabbato (con due “b”). Poi c’erano i Caudini, i Pentri, i Carecini. Ma, per quanto fosse difficile individuare le linee divisorie tra le varie tribù sannite, una cosa era certa: Maleventum/Beneventum era una città irpina. Non solo. Era anche il nodo stradale più importante, all’epoca dei Sanniti, come in età romana e medievale. Da Beneventum partivano strade in tutte le direzioni. Dice sempre Salmon: “se tutte le strade portano a Roma, certo nell’antico Sannio portavano tutte a Beneventum”.
Voglio esser chiaro: la questione del capoluogo non mi interessa e non voglio neanche entrarci. Il mio è un discorso di radici e di tradizioni, il medesimo che mi spinge ancora a cercare un’identificazione culturale univoca con le raccolte “Oschi Loschi”. Non sono uno storico, non sono un politico (non sia mai) e non cerco neanche una giustificazione al mio buonista “vogliamoci bene, siamo tutti fratelli”. È una questione di conformità di popoli, tutto qua. D’altronde lo ha già detto Franco Arminio, e io meglio di lui non posso certo fare: “Le suddivisioni amministrative ingannano. Il mio paese c’entra pochissimo con Napoli”. Appunto. Noi (avellinesi, beneventani) c’entriamo pochissimo con Napoli e con Caserta; e poco anche con Salerno. È una questione di respiro e di cuore, di sensazioni e di visioni. Ora, se al prossimo derby calcistico capiterà che qualche testa differentemente piena conierà un coro da stadio per sfottere l’altra fazione (qualunque essa sia), sopportate e rideteci su. Fa parte del gioco. D’altro canto, quante volte siamo stati presi in giro da nostro fratello?
* curatore di pubblicazioni osche
(intervento tratto dal sito Il Ciriaco)