(Sanniopress) – Quest’anno stavo finalmente per ricredermi e, per qualche settimana, ho pensato per davvero che si potesse porre, al di fuori di ogni ideologismo, all’ordine del giorno una discussione forte e chiara, a più voci, sulla centralità della più grande conquista democratica delle comunità politiche moderne, cioè sulla centralità della scuola e dell’educazione dei ragazzi e delle ragazze e, di conseguenza, sulla necessità di una difesa serrata, forte, combattiva e, prima di tutto, plurale della scuola.
Avevamo iniziato con lo sciopero della FLC della CGIL, s’era continuato con le lezioni in piazza, un fatto di cui ho parlato, sul Messaggio d’oggi, come di un’esperienza emozionante e da non dimenticare. Poi l’assemblea, affollata e attenta, con tutti i sindacati, all’Alberghiero con promesse e giuramenti solenni di dare vita alla grande manifestazione del 24 novembre. Venerdì scorso, infine, l’entusiasmo della “notte bianca”: ancora insieme, docenti e studentesse e studenti a parlare di Costituzione e di don Milani, a suonare, cantare e ballare per dare un segno forte della volontà di voler uscire dalla crisi, trasformando la nostra rabbia in condivisione di saperi e di conoscenze. Del resto, la cultura non è la risposta più importante con la quale gli uomini, da sempre, cercano di dominare tutte le minacce che mettono in crisi le loro esistenze?
Poi, stamane, la notizia di due eventi mi ha spinto di nuovo verso il pessimismo della ragione, dopo le settimane in cui avevo, in certo senso, ritrovato l’ottimismo del cuore.
La prima è la sospensione – annunciata, dopo un incontro con il governo nel corso del quale “sarebbero state date risposte positive”, da tutti i sindacati, esclusa la FLC CGIL, – dello sciopero del 24 novembre. Non mi piace molto interpretare la parte “dell’avevo detto”. Tuttavia zi’ Pasquale, un vecchio “filosofo” del mio paese, era solito affermare, in determinate situazioni, “Io solo i numeri non indovino”. Della possibilità se n’era, infatti, parlato con alcuni colleghi. Avevamo anche scommesso. La risposta è arrivata con la scientifica certezza del metodo sperimentale. Niente di nuovo sotto il sole. Le coscienze e le storie politiche sono quelle che sono. E “con questo legno si costruiscono le trottole”, giusto per mantenersi in campo filosofico, traducendo “a calco” dalla filosofica lingua caudina.
La seconda notizia riguarda, invece, l’occupazione delle scuole. Sulla quale non cambio idea. Sta davvero nascendo un nuovo, grande movimento studentesco in grado di incidere su azioni e scelte politiche? La domanda è complessa. Non so né posso rispondere. Mi limito soltanto ad esprimere un mio giudizio. Ma l’occupazione è davvero contro Profumo-Aprea, contro Gelmini, contro Moratti, contro Berlinguer, contro Rosa Russo Iervolino? L’elenco riporta tutte le occupazioni con le quali m’è capitato di fare i conti. La risposta è: no.
L’occupazione è, in fondo, contro la scuola e contro i professori. E’ oggettivamente contro di noi, contro le nostre lezioni di cui i ragazzi che occupano sostengono di non sapere, per un periodo più o meno lungo, che farsene. E’ questo il motivo principale che mi fa giudicare, oggi ancora più di ieri, questa pseudoforma di lotta in modo totalmente, assolutamente negativo. Di grazia, con chi dovrei dialogare? Con chi rifiuta, a priori, il dialogo, accomunandomi, di fatto, a Profumo e a Gelmini? Con chi, in pratica, fa strame di concetti e valori alti come “libertà” e “democrazia”?
Io ho sempre dialogato, e sempre dialogherò, con gli studenti che la scuola mi ha affidato e mi affiderà. Ma lo farò nelle condizioni della legalità educativa. Espressione che, per me, significa: riconoscimento dei ruoli, delle leggi, delle norme, delle tutele democratiche, dei punti di riferimento. Io non devo plastificare, plasmare, plagiare nessuno. Io sono pagato dallo stato italiano per contribuire alla crescita dell’autonomia e dell’indipendenza critica. E’ un lavoro difficile, complesso, da “lacrime, sudore e sangue”, non solo per noi, ma anche per i ragazzi che di ciò dovranno acquisire consapevolezza. A Barbiana – citiamo ancora una volta don Milani – si faceva scuola trecentosessantacinque giorni all’anno, negli anni bisestili trecentosessantasei e l’orario era dalle otto di mattina alle sette di sera.
In conclusione: i sindacati che rinunciano, solo tre giorni prima, allo sciopero e gli studenti e le studentesse che occupano le scuole si sono, di fatto, assunti la responsabilità di aver rotto l’unità politica di una lotta che poteva e doveva essere forte e grande. Oggi ognuno ritorna nel suo piccolo mondo a curare il proprio “particulare”.
Noi non siamo un paese normale solo perché ci piace tenere, mediamente per un ventennio, certi personaggi a cui, riconoscendo loro facoltà taumaturgiche, deleghiamo la cura delle nostre cose pubbliche. Noi non siamo un paese normale perché pensiamo e ci muoviamo per corporazioni, per ordini, per gruppi. Siamo vecchi anche per questo. Ripetiamo stancamente rituali che non vogliamo abbandonare, magari per pigrizia, o forse, per qualche malcelato interesse.
Invece ora è il tempo delle responsabilità e non delle rappresentazioni. E’ il momento di esperire e mettere in campo nuove forme di lotta, capaci di arrivare al cuore di tutti, convincendo, se possibile, anche chi continua a ritenere la scuola un luogo fondamentalmente inutile, dove gli insegnanti lavorano poco e si fanno quattro mesi di vacanza e gli studenti non aspettano altro che i primi giorni di dicembre per anticiparsi di qualche settimana le vacanze di Natale.