(Sanniopress) – Nella sede altamente simbolica della CGIL beneventana si è svolto il primo incontro dell’Officina di studi politici promossa dal nodo sannita di ALBA, come luogo di incontro e riflessione per tutte le disiecta membra della sinistra beneventana che non si riconosca nelle prospettive liberiste del progetto Italia: bene comune o che lo viva criticamente.
L’iniziativa si è legata alla prosecuzione della raccolta firme pro referendum a tutela del lavoro (ribattezzato «-8 + 18»).
L’incontro è stato aperto dal coordinatore del nodo sannita di ALBA, Rito Martignetti, che ha spiegato il senso della proposta, che vuole colmare il vuoto della discussione teorica, della ricostruzione storica, della formazione di nuove classi dirigenti, prassi oramai abbandonate dai partiti della seconda repubblica, anch’essa in procinto di collassare con le prossime elezioni. E ha ricordato il valore pratico e simbolico di una battaglia a difesa del lavoro, su cui la sinistra sperimenta, nella sua pluralità, la possibilità di una convergenza di intenti.
Il primo appuntamento dell’Officina (il cui nome e il cui logo si debbono ad una felice intuizione di Gaetano Cantone) ha avuto, come filo conduttore, la forma del manifesto (politico e artistico). Doveroso, dunque, partire con Il Manifesto del Partito Comunista, analizzato da Antonio Conte, che ha voluto sottolineare soprattutto il valore critico e non ideologico di quell’opera, ricordando come lo stesso Marx, rispetto a rozze semplificazioni del suo pensiero amasse ripetere che neanche lui era marxista. Dunque, è necessario recuperare quanto è vivo dell’opera di Marx, prima di tutto a livello metodologico, ma anche per quel che concerne analisi profetiche, ad esempio sulla globalizzazione dell’economia. Ed è necessario reclamare la convergenza di teoria e prassi nell’azione politica. Conte ha voluto, infine, ricordare che il primo traduttore dell’opera, per quanto divenuta libro solo molto tempo dopo (per mancanza di denaro) fu il beneventano Pasquale Martignetti, stimato corrispondente di Friedrich Engels.
Gaetano Cantone, col supporto di suggestive immagini, ha riflettuto criticamente sui manifesti del Futurismo, mostrando come il movimento, nella sua ossessiva esaltazione della velocità, della macchina, del progresso, lungi dall’anticipare il futuro, desse voce, nell’arte, alle istanze del capitalismo della seconda rivoluzione industriale, incapace, dunque, di uno sguardo critico. Non appare, dunque, casuale l’approdo “accademico” del fondatore, Filippo Tommaso Marinetti. Il futurismo, prima avanguardia (lemma tratto dal mondo militare) europea fu, dunque, non contestazione del sistema ma arte integrata. La confluenza della maggior parte dei futuristi nel fascismo appare quasi sbocco naturale.
E Amerigo Ciervo ha rimarcato la distanza etica fra quei trentenni avanguardisti e futuristi, che volevano “rottamare” il passato, la tradizione, la storia e quelli che, negli anni feroci della seconda guerra mondiale, nella condizione drammatica del confino, redassero Il manifesto di Ventotene. Altiero Spinelli, Ernesto Rossi, Eugenio Colorni (ucciso poco dopo dai fascisti) rappresentano lo slancio, nel cuore di tenebra dell’Europa dilaniata dalla guerra civile, verso quella “pace perpetua” che solo una grande Europa federata avrebbe potuto garantire. Con una proiezione nel presente, a Europa nata, Ciervo ha sottolineato come, spariti i fantasmi orridi del regimi totalitari, ci sia il rischio di “totalitarismo” economico che tradisce l’utopia concreta di un’Europa dei popoli che mosse gli estensori del Manifesto.
Infine, Nicola Sguera ha presentato una sintesi del Manifesto di ALBA, il cui cuore è nella volontà di stimolare un’aggregazione plurale (che faccia cioè della pluralità e non dell’identità la sua essenza) che rinnovi le forme della democrazia, a partire dall’organizzazione stessa dei partiti, divenuti macchine autoreferenziali. La piattaforma di ALBA si fonda su una netta scelta antiliberista, sulla tutela del lavoro e dell’ambiente. La novità maggiore, secondo Sguera, del Manifesto è nel rimettere al centro le passioni, con il rifiuto delle “passioni tristi” come il narcisismo e la violenza, in nome dell’empatia, della mitezza e della fermezza.
Ogni intervento è stato preceduto dalla lettura di brani delle opere analizzate di Anna Maria Mollica.