(Sanniopress) – Sabato 27 ottobre 2012, ore 20.30 circa. Passeggio per viale san Lorenzo, di ritorno dalla Basilica di S. Maria delle Grazie, immerso nell’osservare la realtà della città che mi circonda, come sempre mi capita quando ho la mente sgombra da pensieri.
Mentre sto per girare l’angolo adiacente la pompa di benzina, per immettermi su via Posillipo, getto lo sguardo, come sempre, sul bue Api, lì, fermo, immobile dal 1629, quando fu ritrovato a Casale Maccabei ed issato sul basamento all’ingresso del viale, quasi fungesse da guardiano del tempio della grande Madre di tutti i cristiani. Di solito cerco sempre di osservare gli splendidi monumenti della mia città come se fosse la prima volta che li vedessi, cercando di carpirne sempre nuovi segreti, nuove peculiarità, restando sempre affascinato dalla bellezza che li contraddistingue e dal mistero delle avanzate tecniche, per i tempi in questione, con cui sono stati edificati.
Ma stavolta qualcos’altro mi ha subito catturato l’attenzione, un qualcosa di meno simpatico ma pur sempre ‘misterioso’, nonostante nel 2012 la tecnologia sulla sicurezza sia di gran lunga superiore (forse) a quella di 4 secoli fa: mi accorgo infatti che la statua del bue presenta un vistoso foro sulla schiena, ed altri due sono presenti sul basamento. E’ come se avessi ricevuto un pugno nello stomaco: uno dei simboli monumentali della nostra città, copia forse di età imperiale o addirittura posteriore, ma sicuramente testimone vero e sincero della diffusione, per almeno trecento anni, del culto isiaco a Benevento, dilaniato e bucato nell’indifferenza più totale e generale.
Eppure rompere il granito è tutt’altro che semplice: infatti, per chi non lo sapesse, è una delle rocce ignee più dure e resistenti in assoluto, tanto che nell’antichità veniva utilizzato per i rivestimenti e le pavimentazioni, oltre che per la realizzazione di statue, colonne, addirittura templi riguardanti i sovrani, gli imperatori o le divinità, come in questo caso. Per questo la mia riflessione istantanea ed anche successiva mi ha pensato a portare che difficilmente la colpa di questa ferita sia da far ricadere esclusivamente al passare del tempo, che, per carità, è una costante sempre attiva.
Lo sdegno più profondo e forte di chi come me ama la sua città e tutto ciò che i nostri antenati ci hanno lasciato, da custodire gelosamente e tramandare ai nostri posteri, si rivolge soprattutto alle autorità, o presunte tali a questo punto, che dovrebbero sorvegliare la nostra storia, che dovrebbero impegnarsi a custodire ed a scoprire i fasti di un passato sempre più lontano, che dovrebbero permettere la rivalutazione, la fruizione pubblica e l’informazione più vasta e semplice, ma che invece si attorcigliano sempre di più dietro la scusa, sempre più puerile, di mancanza di fondi, della crisi che ci attanaglia, per poi concedere all’improvviso prestazioni economiche, anche di un certo livello, agli ‘amici’ o ai soliti noti.
Il mio sdegno va anche verso questa continua ed inarrestabile, a quanto sembra, caduta di buon senso e di amore verso la cultura ed il bene comune degli abitanti di questa città, che, ormai in una spirale sempre più cupa di egoismo, pensano sempre più al proprio arido e piccolo orticello, anziché cercare di coalizzarsi e difendere, con le unghie e con i denti, il giardino comune che hanno intorno. Giardino che potrebbe tornare di nuovo prospero e fiorente, se solo tutti volessimo riprendere a concimarlo.
Sono stanco, e con me Verehia, di osservare l’agonia in cui questa città va, lentamente ma inesorabilmente, trascinandosi. Bisogna riprendersi, ripartire, rimboccarsi le maniche. Ci sono ancora, e ne conosco tante, persone vogliose di rendersi attive protagoniste di questa rinascita. Unifichiamioci, alleiamoci e lavoriamo insieme per il bene comune, per la nostra storia, per la nostra cultura, per il nostro patrimonio, ma per davvero, subito, adesso. Facciamoci autori e collaboratori di un nuovo ‘rinascimento’ inteso nella sua accezione più lessicale, non come bella parola tirata fuori ogni tanto, ma come reale rinascita morale, culturale, umana, per rendere più orgogliosi i nostri padri ed i nostri figli e per edificarci come degni guardiani del mondo che ci è stato dato in consegna.
(tratto dal sito dell’associazione Verehia)