(Sanniopress) – I nodi della politica sono arrivati tutti al pettine e tutti nello stesso momento causando il collasso beneventano. Alla Rocca dei Rettori si lotta inutilmente per sopravvivere, a Palazzo Mosti, tra una perquisizione e l’altra, ci si prepara all’auto-commissariamento. Comunque si giudichino i fatti e qualunque siano le cause, siamo davanti a una svolta storica che avrà effetti inevitabili – in alcuni casi già li ha avuti – tanto nel mondo e nel sottobosco della politica dei partiti, quanto nella società beneventana e provinciale. L’importanza storica dei fatti è costituita dalla fine della Provincia nella sua forma classica, dal taglio dei trasferimenti – soldi – e dal rientro forzato dai deficit di bilancio. Se volete potete anche metterla così: è il lato positivo della crisi. I cambiamenti, infatti, incidono soprattutto sulla classe politica locale che non potendo più gestire a suo piacimento la spesa pubblica si vedrà estromessa dal suo compito di controllo e mediazione delle risorse che le conferiscono potere e il potere di creare clientele.
Sul piano strettamente partitico è una sconfitta per il Pd che governa Provincia e Comune da più di tre lustri. La fine della Provincia non si può di certo attribuirla al Pd, ma il modo in cui si sta affrontando il “trapasso”, con uno scontro frontale con quello stesso governo che il Pd sostiene, pone una pesante ipoteca negativa sulla configurazione e costruzione della Provincia del Sannio e dell’Irpinia, vissuta con rimorso, risentimento e vittimismo. Al Comune, il naufragio contabile dell’amministrazione Pepe raffigura come meglio non si potrebbe il fiasco clamoroso di una stagione politica che pur disponendo di ruoli, istituzioni, risorse e, forse, proprio per questo, non ha portato a casa alcun risultato concreto. La situazione debitoria del Comune è intricata e confusa e per quanto si cerchi di mascherarla e retrodatarla risalendo al passato remoto del sindaco Pietrantonio, rimanda a un’amministrazione comunale nel migliore dei casi fuori controllo e a rapporti con altri enti – ad esempio, Iacp – che sono stati gestiti in prima persona da uomini di spicco del centrosinistra come Lonardo, Del Basso De Caro, Del Vecchio. In fondo, l’imbarazzo del sindaco Pepe e la sua difficoltà e impossibilità di recuperare soldi son dovuti anche a questo circolo vizioso in cui tra il dare e l’avere c’è sempre di mezzo il suo partito e chi lì dentro mena il torrone.
Soltanto qualche mese fa il sindaco Pepe dichiarava che la situazione finanziaria comunale era solida grazie alle manovre di cassa della sua giunta. Ora sappiamo che tra debiti certi e debiti da chiarire si raggiunge una situazione debitoria che sfiora i trenta milioni di euro. La strada del risanamento è segnata: dal momento che il Comune non paga, nessuno è disposto a fargli credito. Non resta che chiedere l’aiuto al governo con il “salva enti” e accettare il rientro forzato dai debiti. Il disastro incide naturalmente sulla politica. La maggioranza è sempre meno maggioranza, ma queste sono cose minori. Il cuore della questione è nel commissariamento che di fatto ci sarà e nel benvenuto controllo delle finanze comunali da parte dei ministeri.
Può darsi che il disastro venga da lontano. Ma il collasso beneventano avviene ora. E non è solo un disastro, ma la fine della politica di spesa. I debiti comunali e il taglio della spesa locale mettono in fuorigioco il notabilato e la sua funzione mediatrice. Per il futuro si dovrà cambiare passo. O al collasso politico e comunale si aggiungerà quello di gran lunga peggiore: il collasso sociale.