di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Renato Farina, chi era costui? Il famoso “luogo” della letteratura italiana calza a pennello all’appendice del “caso Sallusti” ossia il “caso Farina”. Calza a pennello proprio perché Renatone – come lo si chiamava in redazione ai tempi di Libero – non è un Carneade né del giornalismo, né della politica, né dei servizi segreti. Al giornale di via Negri come a quello diretto da Maurizio Belpietro tutti sapevano che dietro lo pseudonimo di Dreyfus si nascondeva il deputato del Pdl: Renato Farina. Nessuno, però, ha detto nulla per un motivo che ieri ha rivelato Vittorio Feltri dietro le quinte di Porta a Porta dopo che, davanti alle telecamere, aveva già fatto il nome di Farina-Dreyfus: «L’ho difeso tutta la vita, speravo che avesse un minimo di coraggio, invece è un vigliacco. Speravo si prendesse le sua responsabilità. Non si è verificata né una cosa né un’altra. È semplicemente un pezzo di merda e Alessandro sta pagando con un grandissimo coraggio per una colpa che non è sua». La reazione di Feltri, a sua volta, è un po’ scomposta, come se avesse in sé un senso di colpa per aver diretto tanto Libero quanto il Giornale senza mai prendersi la rogna della responsabilità della gerenza che, invece, Sandro Sallusti ha indossato come un parafulmine. Ma la domanda che tutti si pongono è: perché Renato Farina non si è fatto subito avanti dicendo fu lui nel 2007 a scrivere il pezzo che ora costa la galera per quattordici mesi al direttore de il Giornale? Perché ha preferito l’ombra alla luce?
Forse, l’ombra è una caratteristica della personalità di Farina. Ha lavorato per molto tempo proprio all’ombra di Feltri, fin da quando il Vittorioso prese il posto di Montanelli sulla poltrona di via Gaetano Negri. La loro è stata un’amicizia di lungo corso e un sodalizio giornalistico che ha avuto grandi risultati. Quando Feltri fondò Libero lo fece anche con la farina di Farina: era Renatone a fare il giornale nei primi tempi sempre molto garibaldini. Lo ricordo bene perché uno dei primi pezzi miei che andarono in prima pagina – era un ritratto di Mastella, buono un po’ per tutte le stagioni – fu messo proprio da Farina che mi chiamò al telefono e mi disse di salire a Milano «che Feltri ti vuole conoscere». Era più o meno Ferragosto, a Milano faceva più caldo che a Palermo, ma i due puntavano proprio sul generale agosto per lanciare il giornale, e Feltri era vestito di tutto punto, portava persino la cravatta, mentre Farina con la sua solita camicia più fuori che dentro i pantaloni che continuavano a scendergli sulle caviglie si aggirava nello stanzone della redazione saltando da una postazione all’altra e capitava sempre vicino alle giornaliste. Era il 2000 e Renato Farina era già da un anno al soldo del Sismi, come poi si saprà, con il nome in codice di Betulla. A dare manforte a Libero giunse proprio, pensate un po’ chi? Sandro Sallusti che di fatto sostituì Farina che si dedicò così più alla scrittura, lasciando la “macchina” nelle mani di Sandro. Se c’è una cosa che non va mai giù ai giornalisti – ce lo possiamo dire – è quella di essere scavalcati da altri giornalisti. Lui era vicedirettore mentre Sallusti divenne direttore responsabile e, naturalmente, Feltri aleggiava su tutti come una specie di deus ex machina. Farina lasciò il posto a Sallusti e un po’ ci rimase male, ma non ne fece un dramma. Aveva tante altre cose a cui pensare. La collaborazione dell’agente Betulla con il Sismi è durata molti anni e quando la magistratura ha indagato prima e processato poi Farina per il favoreggiamento per il caso del rapimento di Abu Omar, il giornalista agente del Sismi si è dichiarato colpevole e ha patteggiato la pena di sei mesi di reclusione – sempre meno dei quattordici mesi di Sallusti – poi commutata in una multa di 6.800 euro. Sull’affaire Betulla ha scritto anche un libro: Alias Agente Betulla. Racconta che nel giugno 2004 ricevette da Niccolò Pollari, all’epoca direttore del Sismi, attraverso Pio Pompa, l’ordine di recuperare da Al Jazeera le immagini dell’esecuzione del povero Fabrizio Quattrocchi. Così nasce il suo nome in codice. Racconta anche di aver fornito ai servizi segreti informazioni sul rapimento della giornalista Giuliana Sgrena. Versione confermata da Pio Pompa. Alle ultime elezioni politiche Renato Farina è stato eletto nelle liste del Pdl. Insomma, una vita – qui sommariamente riassunta – movimentata. Farina sente d’avere un cuore da patriota. Ha sempre sostenuto d’aver agito in nome dell’articolo 52 della Costituzione che recita che difendere la Patria è un sacro dovere di ogni cittadino.
Ma è proprio il suo spirito patriottico che sembra essere venuto meno nel “caso Sallusti”. Se avesse fatto un passo avanti subito, senza restare nell’ombra sotto lo pseudonimo di Dreyfus, avrebbe fatto non solo un bel gesto, ma anche il suo dovere. Invece, solo ora, a sentenza avvenuta ed esecutiva, si fa avanti e dice «quel testo l’ho scritto io e me ne assumo la piena responsabilità morale e giuridica. Chiedo umilmente scusa al magistrato Cocilovo: le notizie su cui si basa quel mio commento sono sbagliate. Egli non aveva invitato nessuna ragazza ad abortire: l’ha autorizzata, ma non è la stessa cosa. Sallusti intende affermare costi quello che costi un principio. Ma una sentenza emessa del nome del popolo italiano non può basarsi su un falso storico, Sallusti non ha scritto quell’articolo. Chiedo umilmente per Sallusti la grazia al Capo dello Stato o che si dia spazio alla revisione del processo. Se qualcuno deve pagare per quell’articolo, quel qualcuno sono io». L’ex agente Betulla è rimasto troppo nell’ombra, ha conservato fino alla fine il segreto di Pulcinella della paternità dell’articolo incriminato, mentre avrebbe dovuto da subito dichiarare che Dreyfus era lui. E non solo per l’amicizia con Sandro Sallusti o per ragioni processuali ma per il senso stesso dell’articolo che, al di là del ruolo svolto dal giudice Cocilovo, investe in pieno la coscienza del giornalista. In fondo, è proprio questo che è in gioco in questa strana vicenda giornalistica e giuridica: la libertà di esprimere la propria opinione sulla vita e sull’aborto. Ma se si rivendica, giustamente, la libertà di esprimere il proprio pensiero, a maggior ragione lo si deve fare anche davanti ai tribunali e alla controparte. La propria libertà di pensiero e azione non si può difendere per interposta persona.
(tratto da Liberalquotidiano.it)