(Sanniopress) – Dopo aver letto il giudizio di Pasquale Viespoli su quella che ho definito “porcata” – la scelta del consiglio regionale di cambiare le carte in tavola per non cambiare nulla e riproporre le cinque province campane – mi son detto alla maniera di Morandi, Tozzi, Ruggeri: “Uno su mille ce la fa” (in verità sono due su mille perché va dato atto al consigliere Carlo Aveta d’avere la schiena dritta). La porcata è stata definita da Viespoli “roba da azzeccagarbugli territoriali”. Stefano Caldoro, che fu il primo a proporre la nuova provincia irpino-sannita, si è accodato e ha avuto dal governo ciò che si merita. Il ministro Patroni Griffi lo ha mandato a quel paese e gli ha fatto sapere apertamente che “il governo va nella direzione opposta”. Tutta la classe politica della Campania ha fatto una figura meschina. Mi vergogno io per loro.
Viespoli nella sua critica avanza anche una buona proposta. Buona perché innovativa e perché in linea con la vera questione che si agita in questa crisi finanziaria e istituzionale del nostro Stato: l’autogoverno meridionale. La sua idea è quella di una Provincia delle aree interne. Guarda caso, è proprio ciò che proponeva Caldoro un anno e passa fa. Solo su una cosa non sono d’accordo con Viespoli. Là dove dice che una classe dirigente deve anche essere capace di rischiare decisioni impopolari. Ma qui non c’è nessuna decisione impopolare. La fine dell’amministrazione della provincia beneventana non è un argomento serio per le famiglie, le aziende, gli studenti, eventuali investitori e i comuni mortali. A chi interessa per davvero la fine dell’amministrazione politica della Rocca dei Rettori? Al personale politico e a chi gli ronza intorno. A chi deve svolgere consulenze, a chi deve entrare in questo e quel consiglio d’amministrazione, a chi deve avere quel finanziamento. La fine dell’amministrazione provinciale interessa esclusivamente alla stessa classe politica che utilizza gli uffici pubblici per recuperare consenso e restare in sella. Questo è il più grave problema del Mezzogiorno. Non esiste solo a Benevento, ben si capisce; ma esiste anche a Benevento. L’elettorato sannita mantiene una classe politica che non è classe dirigente e non vuole esserlo perché aspira ad essere solo la capra sopra la panca. Ora che la panca si è rovesciata, cerca di raddrizzarla ma per non rimanere sotto. Ma è solo la classe politica parassitaria che si mobilita. I cittadini sanniti si guardano bene dall’intervenire in una faccenda che percepiscono chiaramente come a loro estranea.
Dunque, la fine della provincia di Benevento non è impopolare. Purtroppo, non è neanche popolare. La maggioranza della popolazione è indifferente. Il maggior problema è proprio questo: l’elettorato sannita è equamente diviso tra indifferenza, clientelismo, inconcludenza. Ed è un peccato. Perché, in fondo, proprio la fine della provincia beneventana è un’occasione per il Sannio che può dare il buon esempio sul piano dell’autogoverno con la costituzione dei consorzi dei Comuni. Altro non c’è da fare che incamminarsi su questa strada e chiedere con forza che la Regione funzioni unicamente da parlamento regionale e non da esecutivo e i Comuni siano gli enti locali con capacità e funzioni di governo. La classe politica del Sannio aveva una grande occasione per dimostrare la sua utilità di classe dirigente, invece ha dimostrato ancora una volta la sua storica inutilità. Afflitta com’è dalla cura dei propri parassitari interessi clientelari è del tutto incapace a rappresentare il Sannio.