(Sanniopress) – L’incendio di Torrecuso ha qualcosa di cinematografico. Come in un film d’azione sono stati avvolti dalle fiamme due automobili del Comune e tre pullman per il servizio scolastico. Come in un western si è forse cercato di dare fuoco al Municipio. A differenza dei film, il fuoco di Torrecuso brucia. Ciò che colpisce non è la qualità, ma la quantità. Tuttavia, il grande incendio non ha scaldato più di tanto i cuori. Il sindaco del comune del buon vino ha detto che solo grazie alla tempestività degli abitanti non è andata a fuoco la casa comunale. Allora, si voleva proprio questo: bruciare in un grande falò la stessa Amministrazione? Se così fosse, lo strano caso di Torrecuso non sarebbe solo affare di Torrecuso. Ci sono cose di un paese che riguardano anche altri paesi, anche qui si tende a vivere e a pensare come se ogni paese fosse un atomo a sé, senza relazioni né bisogni.
Non è la prima volta che si usa il fuoco per il dolo. Negli ultimi tempi nella mia Sant’Agata dei Goti sono andate a fuoco non poche automobili. In passato, quando si era ancora nella cosiddetta Prima repubblica, proprio il Comune fu bruciato due volte. Presero fuoco le carte del terremoto nell’ufficio tecnico comunale. Un incendio mirato per sveltire qualche pratica e accantonarne altre. Oggi, però, il fuoco di Torrecuso colpisce – o dovrebbe colpire – perché si è cercato di fare di tutto fuoco e fiamme. Sbaglierò, ma non ricordo il nome di Torrecuso tra i comuni “difficili” e “pericolosi” del Sannio. La novità sta proprio qui.
Fino ad oggi ho legato il nome di Torrecuso, oltre che al buon vino e al cavalier Falluto e – si capisce – al Mellusi che non è solo un viale beneventano, a don Benedetto. Su quelle colline coltivate a vite nel 1929, dopo poche settimane dal suo ultimo discorso in Senato sui Patti Lateranensi, giunse Croce che nel ricordo del suo amico Antonio Fusco battezzò il figlio della sorella. Croce, oltre che filosofo, aveva un vero culto dell’amicizia e pur se non aveva ormai né trenta né quarant’anni si mise in viaggio per arrivare in tempo per la cerimonia, partecipò al pranzo e alla festa e naturalmente suscitò grande curiosità a Torrecuso e ancor di più a Benevento il cui prefetto fu subito allertato dal sangiorgese Arturo Bocchini, capo della polizia, che voleva sapere cosa diavolo andasse a fare il senatore Croce a Torrecuso. Ma son ricordi dei miei studi che c’entrano nelle fiamme dell’inferno di Torrecuso come il cavolo a merenda. Perché, allora, mi vengono alla mente?
Perché, in fondo in fondo, questo nostro Sannio potrebbe essere un po’ diverso da come è e neanche peggio. Invece, sotto un’apparente tranquillità c’è malessere, come sotto la cenere cova il fuoco. I rappresentanti delle istituzioni pronunciano parole che dicono peggio di niente: non dico per l’assenza di informazioni, che se ci sono fanno bene a riferirle a chi di dovere, ma per la qualità e la forza che son fatte di una pasta retorica vacua. E’ il nostro peggior male, la retorica: la parola diventa omertosa, l’evidenza è dissimulata, i problemi sono come i fantasmi: invisibili. Una comunità senza lingua è più facile da conquistare. Così anche un paese sereno e di poche anime, che un tempo assai lontano servì come avamposto per difendere la chiesa di Benevento, un brutto giorno si sveglia e grida “al fuoco, al fuoco” ma come nella favola classica nessuno ci crede o nessuno ha voglia di crederci. L’incendio sannita si allarga.