(Sanniopress) – Ci voleva Oreste Vigorito per fare di Luca Colasanto una vittima e un campione della libertà di stampa. Ma la colpa, forse, non è neanche sua. Sapete di chi è? Delle penne sporche. In Italia le penne – tutte – sono sporche non perché i giornalisti siano brutti, sporchi e cattivi ma perché gli editori hanno altri interessi – dall’industria alla politica – e utilizzano l’editoria non per informare ma per battagliare e polemizzare. I giornali servono a fare belli se stessi e brutti gli altri, a procurarsi amici per combattere i nemici, ad alzare sé e abbassare gli altri e a farsi eleggere in Parlamento o in uno dei tanti parlamenti che offre lo Stato conventuale italiano. Gli editori puri sono così puri che somigliano a un’idea platonica. Insomma, non esistono. Guardatevi intorno qui a Benevento. Ne vedete uno? Neanche mezzo. I giornali che sono sulla piazza dell’edicola sono tutti altamente impuri. Tutti vi dicono di darvi informazione, libertà di pensiero e addirittura verità. In realtà, ognuno vi passa la voce del padrone che ha interessi nelle costruzioni, nell’industria eolica, nella tipolitografia e tutti hanno rapporti con il mondo politico. Così Svigorito e Colasannio che si censurano l’un l’altro e si atteggiano a campioni di libertà sono grotteschi e non si avvedono che con le loro trovate – Svigorito che caccia i giornalisti colasanniti dalla conferenza stampa del Benevento e Colasannio che pubblica il comunicato dell’ordine dei giornalisti della Campania titolando “L’Ordine della Campania condanna il comportamento dei padroni del Benevento” – rappresentano al meglio il peggior sistema di disinformazione che hanno realizzato.
Billy Nuzzolillo, nel pezzo qui a fianco, ricostruendo fedelmente i fatti e citando i vari interventi che si sono avuti sul caso – Lucarelli, Fuccio, Coppola – fa capire molto bene che cosa è accaduto. Nel pezzo Billy, bontà sua, cita anche il mio piccolo caso, quando venni semplicemente cancellato dal Colasannio addirittura dalle graduatorie scolastiche perché ero colpevole di essere stato un direttore infedele. Di quell’episodio ho sempre riso di gusto e, a distanza di anni, continuo a divertirmi. Ci troviamo senz’altro davanti a qualcosa che non va. Tuttavia, il sistema disinformativo sannita non è un’eccezione ma la tendenza di fondo del giornalismo italiano. Magari a Benevento ci si aggiunge qualche nota personale di cattivo gusto in più, ma questo riguarda più le persone che le cose in sé. A me, però, delle penne sporche beneventane – Penne sporche è un pamphlet del giornalista Tito Giliberto – interessa poco la coppia Svigorito & Colasannio e mi incuriosiscono di più i corpi redazionali e le relative anime del purgatorio. Se è vero come è vero che gli editori sono impuri, allora, anche i giornalisti saranno impuri. Se l’editore-proprietario-padrone è il capo, la redazione è la banda. Non lo dico con moralismo ma con simpatia. I cronisti, i redattori, persino i commentatori – a volte sono i peggiori cioè i migliori – sono una banda che si deve muovere come un solo uomo armato. Un giornale è un ottimo strumento di pressione per conto degli scopi e privilegi del capo. Un giornale è quasi per definizione fazioso perché è una fazione. I migliori giornalisti sono quasi sempre faziosi, a patto che ne siano consapevoli e non credano di salire sul pero per farci la morale. E’ anche qui, però, che si annida il peggior pericolo per cronisti, redattori, giornalisti in genere: se si stringe troppo il connubio tra l’editore impuro e la politica – e la cosa in Italia è regolarmente accaduta, si pensi a l’ultimo caso, quello di Tangentopoli e a seguire – allora il giornalista diventa non più un cronista che racconta fatti e misfatti ma un propagandista che omette, mistifica e si autocensura. Il caso ridicolo della mia cancellazione dalle graduatorie scolastiche – e tanti altri ne potrei citare – è indicativo: il capo ordina e i redattori eseguono. Ma i giornalisti possono eseguire tutto? A volte l’ordine non è neanche detto o richiesto perché la penna sporca lo anticipa o interpreta al meglio cioè al peggio. Ogni penna sporca è una buona penna se rispetta non solo il suo editore ma anche il suo lettore. Deve dunque porsi dei limiti che, purtroppo, a Benevento sono stati superati da un pezzo e proprio per questo motivo che da queste parti non si leggono buoni “pezzi” e le penne sporche invece di andare avanti vanno indietro. Insomma, la prima vittima del giornalismo sannita è il giornalismo sannita che ci rimette le “penne”.
Povero lettore. Se i giornali si comportano come bande in guerra, come fare per avere un po’ di notizie attendibili e qualche commento ragionevole? Con l’unico modo che è sempre esistito: non ascoltare sempre e soltanto una sola campana. Il giornalismo è pluralista e non monista. Chi legge un solo giornale rischia l’indottrinamento, chi legge più testate avrà una testa per farsi una sua idea. E, fortunatamente, oggi non si leggono solo i giornali di carta ma anche quelli in rete. I quali hanno un solo difetto rispetto agli altri: non ci si può incartare le uova.