di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Avvicinandoci a Città Spettacolo, legata ora al nome di Giulio Baffi, mi sovviene un vecchio slogan pubblicitario di un altro direttore artistico del festival beneventano, Maurizio Costanzo, che reclamizzando camice con comodi colli per uomini senza collo diceva: “Una camicia con i baffi”. Il festival settembrino è di fatto una festival con i baffi e, ci vada bene o no, ce lo dobbiamo far andar bene per forza. E’ già tanto che vada in scena.
Trentatré anni non sono pochi e, come è noto, sono sufficienti per mettere su un dramma sacro con morte e resurrezione del Protagonista. Per Città Spettacolo l’edizione del numero degli anni di Nostro Signore è praticamente un miracolo: i 385 mila euro della Regione sono arrivati per un pelo e Baffi è appena riuscito a lisciarsi i suoi mentre Raf si è lisciato i belli capelli in conferenza stampa e, memore di Troisi, ha detto: “Scusate il ritardo”. Prego, non c’è di che. Siamo tutti contenti – anche Miele che ha già fatto sapere di avere l’amaro in bocca – e dando uno sguardo al cartellone sembra che sia stata messa su una cosa di qualità traendo linfa vitale dalla forze d’arte della città che se venissero messe a tema potrebbero con le loro forze tirare su il festival per gli anni a venire. Forse, è proprio questa la lezione da trarne perché, siatene certi, per il prossimo anno non ci potrà essere alcun miracolo.
Apro una brevissima parentesi trombonesca con dati e numeri. Secondo una ricerca della fondazione Symbola e Unioncamere la cultura crea lavoro ma il Sud, come sua tradizione, è in ritardo. L’industria culturale frutta all’Italia il 5,4 per cento del Pil che significa 76 miliardi e dà lavoro a un milione e 400mila addetti. Sono più quelli che lavorano nella cultura che nei campi (fatta eccezione – credo – per i neri che lavorano “in nero”). Di quei 76 miliardi di Pil, il Sud vi contribuisce con solo 11 miliardi e su quel milione e mezzo di occupati al Sud sono solo 272mila i lavoratori dell’industria Cultura & Spettacolo. La prima provincia meridionale in classica è Matera, ventisettesimo posto. In Campania? Una piccola sorpresa: guida la classifica (a perdere) Benevento, poi Napoli, Salerno, Caserta, Avellino non pervenuta.
Fine della parentesi trombonesca? Cosa si può dire? Che nella cultura ci si può lavorare, ma ad un patto: che sia lavoro serio, cioè autonomo, e non un paravento per attingere ai fondi pubblici. Di esempi fallimentari in giro ne abbiamo a vagonate e conoscete i nomi e cognomi che vi prego di mettere voi ripassandoli a mente. Tra questi fallimenti non credo che vada inserita Città Spettacolo la quale, però, ha davanti a sé un futuro sensato se mette al centro le energie artistiche e culturali di Benevento e del Sannio e dà un calcio ai soldi pubblici affrontando seriamente quella cosa che si chiama mercato che è duro e faticoso ma ha il vantaggio di premiare chi sa fare qualcosa e mettere in fuorigioco chi non sa fare niente, mentre i maneggi dei soldi pubblici hanno la regola opposta, premiano chi non sa fare niente e emarginano chi sa fare qualcosa. Benevento, per chi ha occhi per vedere e testa per capire, ha delle buone carte da giocare, anche per un festival teatrale in cui si può per davvero leccare i Baffi.