di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Ho sentito un tifoso meridionale della Juventus – sono quasi più dei settentrionali – che ha liquidato la strana storia del deferimento di Antonio Conte in tre parole: “Sono tutte minchiate”. Sulle prime ho pensato che la fede calcistica è come il mitico amore: cieco. Poi ho visto un po’ meglio la cosa e devo dire che le accuse rivolte all’allenatore della Juventus quando era allenatore del Siena se non sono tutte minchiate, vi si avvicinano molto. Intanto, il personaggio.
Ma uno come Conte, lo avete visto bene? In un libro a lui dedicato è definito niente meno che “l’ultimo gladiatore”. Uno che dà tutto se stesso fino a perdere il sonno, la fantasia e persino i capelli. Se avete la collezione delle Figurine Panini potete osservare l’evoluzione tricologica del giocatore: man mano che passa di serie e di categoria, dal Lecce alla Juventus fino alla Nazionale – con due finali giocate e perse, una ai Mondiali e una per gli Europei – i capelli diventano un pallido ricordo. «Mi cadono per lo stress», dirà il gladiatore pelato.
E quando poi i capelli ricominciano a ricrescere e ricomparire e il centrocampista avanzato della Juventus diventa il trascinatore della squadra e l’affossatore dell’Inter, Materazzi per aver perso lo scudetto all’ultima di campionato se ne uscì con un solidissimo argomento dei suoi: «Con il premio scudetto si comprerà un parrucchino nuovo». Il gladiatore rispose senza capelli sulla lingua: «Vorrei ricordare al signor Materazzi che il parrucchino non si usa più. Adesso c’è il trapianto dei capelli, ma, purtroppo per lui, non c’è ancora il trapianto del cervello». Ecco, tra un trapianto di capelli e una rasata a zero, Conte non ha avuto mai bisogno di farsi un trapianto di cervello. Vi sembra, allora, che uno come lui possa essersi bevuto il cervello con la storia delle partite combinate del Siena prima con il Novara e poi con l’Albinoleffe? Antonio Conte non ha commesso nulla. Semmai, ha omesso. Ma i “semmai” sono tanti e relativi. Per due motivi di fondo. Il primo: lo stile. Conte è uno come Del Piero: le partite se le gioca e certe cose non le vuole neanche sentire. Crede in quel che fa e sa che il gioco truccato è la fine della dignità di un giocatore. I successi e le vittorie se le è sudate tutte e non farebbe mai la fesseria di dire alla sua squadra di non preoccuparsi tanto ha saputo che la partita è stata combinata ben bene. Il secondo motivo riguarda le stesse accuse che gli sono rivolte da Filippo Carobbio e che riguardano un classico sentito dire. L’allenatore del Siena avrebbe dovuto dire ai giudici sportivi di aver sentito dire che la partita era stata combinata. Per uno preciso come Conte, abituato a passare bene la palla, a metterla sui piedi del compagno con il cucchiaino, il “sentito dire” è un po’ poco: o si ha qualcosa da dire di serio, concreto e preciso o è meglio lasciar perdere. Ma alla aleatorietà dei fatti si va ad aggiungere quello che è stato chiamato il “risentimento” di Carobbio e il litigio tra mogli.
I fatti – se li possiamo definire così – sarebbero questi: la moglie di Carobbio è in dolce attesa e deve partorire, allora Carobbio chiede un permesso per saltare allenamento e partita ma l’allenatore – Conte – glielo nega perché la partita da giocare è importante per l’esito del campionato. Il giocatore, contrariato, se la sarebbe legata al piede e successivamente in un incontro conviviale ci sarebbe stato un litigio tra le mogli di Carobbio e Conte.
A questo punto dell’incredibile storia ci si chiede: dov’è la palla? Dov’è il calcio? Dove sono finanche le partite truccate? Ha avuto buon gioco l’avvocato di Conte a sottolineare che dalla contestazione di un illecito si è passati a un’omissione. E, aggiungiamo noi, l’omissione sarebbe un “sentito dire” o, forse, addirittura il classico “non poteva non sapere”. Insomma, non un fatto ma una deduzione: come se uno dicesse che se la Nazionale fosse stata in forma non ne avrebbe prese quattro contro la Spagna. Un po’ poco, non vi pare? A questo punto potreste dire che sono juventino e che Antonio Conte gode della mia simpatia e, forse, non avreste torto (ma non sono juventino, per questo c’è Pierluigi Battista). Uno che si fa intervistare da Le Iene e si prende in giro paragonandosi a Lino Banfi che interpreta l’allenatore Oronzo Canà in L’allenatore nel pallone e lo fa con stile senza essere piacione merita considerazione e rispetto. Allora, uno così, uno che ne rifila cinque alla Fiorentina e a fine partita invece di dare addosso ai viola, soffermandosi sulla goliardia dei tifosi fiorentini venuti allo stadio con i parrucchini viola, prende in giro se stesso e la sua fissazione per i capelli, uno così lo puoi accusare se sei in grado di segnare, altrimenti squalifichi te stesso. Bisogna saper stare in campo, sia quando si gioca sia quando si allena, sia quando si campa. Il gioco del calcio insegna prima di tutto l’arte di saper campare, sempre che qualcuno abbia ancora desiderio di imparare. Antonio Conte è stato uno degli ultimi.
(tratto da Liberalquotidiano.it)