di Giancristiano Desiderio
(Sanniopress) – Se fossimo in un altro secolo saremmo già in guerra perché dalla situazione in cui siamo e in cui è il mondo si è sempre usciti con una “bella” guerra e un massacro generale. Ma la guerra ai nostri tempi non si può più fare. Pur volendo, a chi si dichiarerebbe guerra? L’Europa unita è nata proprio per questo: per fare la pace e non la guerra. Il risultato “pacifico”, almeno questo, l’abbiamo raggiunto. Sarà per tal motivo che facciamo la guerra a noi stessi: non potendola fare con altri – genere di battaglia per il quale, in verità, siamo poco portati – muoviamo guerra a noi stessi. Da sempre, almeno dai tempi di nostro padre Dante, noi italiani siamo bravissimi, praticamente imbattibili, nel fare la guerra agli italiani. Poco conta che farsi del male non serva a niente e che, anzi, sia il vero male da combattere: l’importante è darsele di santa ragione e giocare a spaventarci ogni giorno di più. Alla fine del mese di giugno c’è stato il vertice tra i maggiori Stati e capi di governo della vecchia Europa con i rappresentanti delle istituzioni economiche, finanziarie, bancarie. Ci si attendeva una soluzione definitiva che, come tutte le soluzioni definitive, non si è materializzata.
Da quel momento in poi il governo Monti è stato messo sotto accusa cioè sopra il banco degli imputati per averci portato a un passo dalla fine. Le cose non stanno così, perché, semmai, il governo Monti, pur con tutti i limiti delle cose umane e italianamente rabberciate, è riuscito a rimetterci in gareggiata dopo che eravamo usciti praticamente fuori strada. Però, ciò non toglie che il problema di oggi sia il problema di ieri: piazzare i titoli di Stato che giorno dopo giorno costano sempre di più e trovare gli acquirenti è sempre più difficile.
Questa è la vera guerra che si combatte sul fronte finanziario internazionale, quella che già nell’autunno scorso Giuliano Ferrara volle chiamare la guerra dello spread. Ma se questa è la guerra che con il nostro governo tutti siamo chiamati a combattere – con tasse, sacrifici, rinunce, attese – perché a questa guerra reale si vuole a tutti i costi aggiungere una guerra mediatica che ogni giorno va in scena sulle pagine dei quotidiani e dei telegiornali?
Perché, alla maniera di un Tafazzi nazionale, ci vogliamo massacrare i gioielli di famiglia dicendo che siamo giunti alla fine del mondo? Che ormai nessuno è più in grado di far nulla? Che neanche un Dio – alla maniera di un filosofo tedesco – se volesse ci può salvare? L’altro giorno perfino il Corriere della Sera – quotidiano che, come si sa, interpreta una tradizione istituzionale – titolava “Trema tutta l’Europa”. È tempo di tremare o di essere forti? Dobbiamo mortificare le nostre speranze o dobbiamo stringerci e darci sotto perché così in fondo è sempre avvenuto nella storia?
Si vuole vedere oggi in Monti un nuovo “caso italiano”. Come il governo Berlusconi ci aveva condotto al cospetto di Minosse, così il governo Monti ci starebbe conducendo nell’Ade. Vittorio Feltri ha fatto il paragone tra il dramma vissuto con Berlusconi e il dramma che stiamo vivendo ora con l’esecutivo di Monti e ha voluto ripetere a caratteri cubitali anche il titolo che fece Il Sole 24Ore il 10 novembre scorso: “Fate Presto”. Titolo drammatico nella sua sintesi, non a caso quel titolo è storico perché fu fatto da Il Mattino il giorno dopo il terremoto del 23 novembre 1980 in Irpinia.
Tuttavia, proprio Feltri nel suo articolo coglie una differenza e dice: «Chissà perché stavolta, tuttavia, Il Sole 24Ore, non lancia allarmi, non incita i partiti e le istituzioni a fare presto». Insomma, come Berlusconi diede le dimissioni e fece spazio a Monti così oggi Monti dovrebbe dare le dimissioni e fare spazio ad altro e i giornali, compreso il Corriere e Il Sole, dovrebbero indurre il presidente del Consiglio a fare il “gran rifiuto”. Come se il governo non fosse la soluzione possibile del problema ma esso stesso il problema da risolvere.
È in questo girotondo politico e giornalistico che nasce e cresce la nostra ansia quotidiana e l’illusione di poter uscire dalla crisi del debito sovrano licenziando il governo Monti e riprendendo il clima dello scontro politico dal quale, in verità, non siamo mai usciti.
È bene allora ricordare una cosa fondamentale. Silvio Berlusconi non ha passato la mano perché vittima di un complotto ordito nei Palazzi più alti di Roma e d’Europa ma perché rifiutò il prestito del Fondo monetario internazionale, che avrebbe di fatto commissariato il suo governo e il Paese, e così, non avendo una soluzione alternativa, dovette farsi da parte. Quindi venne Monti.
Ma la venuta di Monti non è un fatto divino o extrapolitico: al contrario, fu voluto proprio dalla politica e dai partiti presenti in Parlamento con la missione dichiarata di evitare il commissariamento internazionale dell’Italia. La missione del governo Monti è ancora in piedi, non perché non abbia fatto nulla ma, ancora al contrario, perché nel frattempo l’esecutivo è riuscito a rimettere in piedi uno Stato che era nella fossa. Ecco allora il punto: su questa situazione nazionale e internazionale possiamo costruire e mettere in scena ogni giorno il dramma nazionale e il solito spettacolo dei guelfi contro i ghibellini ma non sarà la guerra civile mediatica a tirarci fuori dai guai. Via Monti, ci sarà un governo che avrà il medesimo problema, peggiorato: evitare il commissariamento italiano.
Il debito è una brutta bestia da sconfiggere perché non va solo abbattuto ma bisogna anche evitare che si alimenti. Fino ad ora la risposta ai tagli e alla revisione della spesa fatta dal governo è sempre stata la polemica preventiva e ognuno – dai partiti ai giornali – ha una ricetta migliore che se applicata farebbe miracoli. Qui l’unico miracolo è che siamo ancora in piedi. Il presidente Monti farebbe bene a invitare i suoi oppositori, politici e giornalistici, a farsi un giro a Palazzo Chigi e al ministero del Tesoro per mostrare loro i conti a cui lo Stato italiano è appeso.
A tutti coloro che dicono che adesso i professori devono farsi da parte e la politica deve ritornare al suo posto – come se fosse davvero possibile sospendere la politica cioè un “pezzo” della realtà – bisogna rispondere dicendo che la politica ha da sempre in mano il bandolo della matassa.
Ma piuttosto che usarlo per sbrogliare con onestà di mente e di cuore la situazione lo usa per imbrogliare ancor più la matassa. Ma a furia di imbrogliare la matassa si finisce con imbrogliare se stessi e l’Italia.
(tratto da Liberalquotidiano.it)