(Sanniopress) – Gennaro Papa apre e chiude la sua riflessione politica ironizzando sul “grillismo” e paragonandolo, come altri hanno fatto, all’effimero fenomeno del “qualunquismo” nel secondo dopoguerra. Pur non essendo parte del Movimento Cinque Stelle e nutrendo alcune perplessità sul medesimo (le posizioni sull’immigrazione, il “giovanilismo” eretto a ideologia, il purismo rispetto alla storia politica dei militanti), da molti anni seguo sia gli interventi di Grillo sia la costruzione del Movimento, e sostengo che esso sia una novità preziosa nel moribondo panorama italiano, che mostra tutti i segni di una profonda “corruzione”, non solo per gli eclatanti casi Lusi o “The Family”, ma proprio per quella disaffezione che lo stesso Papa nota con preoccupazione nel suo articolo. E come si risponde a tutto questo? Non è mera risposta difensiva immaginare che se Fini o Casini avessero continuato a tenere in vita artificialmente un governo esso stesso causa di molti dei mali denunziati le cose andrebbero meglio? Perché non accettare che, come scriveva già diversi anni fa Marco Revelli, siamo “oltre il Novecento”, le sue categorie politiche, le sue forme organizzative? Da questo punto di vista il “grillismo” ha per primo intuito che la Rete modifica radicalmente le pratiche politiche perché consente tre cose: 1) informazione (anche “orizzontale”, quindi non filtrata da “agenzie” che spesso sono espressione di potentati economici, ad esempio, Mediaset a destra e il gruppo Espresso a “sinistra”); 2) trasparenza; 3) decisioni condivise.
Dunque, la rete – che Rifkin considera lo strumento “mediatico” della rivoluzione in atto, rivoluzione energetica, politica e culturale nello stesso tempo – costringe a ripensare la politica nei suoi contenuti e nelle sue forme organizzative, rendendo possibile un inedito intreccio di democrazia “diretta” (impraticabile nella sua forma pura, auspicata dalla Arendt, ad esempio, su scala nazionale o transnazionale) e democrazia rappresentativa. Quando Grillo rivendica, ricordando gli Stati Generali dell’89 francese, “una testa, un voto” non sta forse dicendo che è finito il tempo delle deleghe in bianco? Che questo tempo richiede cittadini consapevoli e attivamente partecipi della cosa pubblica? Che si è esaurita l’illusione di presunti “tecnici”, filosofi-re, esperti cui delegare le decisioni in campo energetico, economico, sociale? La rete (che significa diffusione del sapere + interazione tra i soggetti, cioè fine del monopolio dei saperi + verticalismo) sta plasmando nuovi cittadini. Che c’entra il qualunquismo con tutto questo? Basta conoscere anche superficialmente la storia del movimento di Giannini per capire che la comune provenienza sua e di Grillo dal mondo del teatro non giustifica alcun parallelismo. In un linguaggio spesso “basso” e stonato, Grillo dice da anni cose innovative, avendo intuito non solo i mutamenti in atto nel mondo politico ma anche l’incapacità strutturale del ceto politico italiano di autoriformarsi. E, si badi, questo vale a destra quanto a sinistra. Non voglio dire del PD, ridotto da anni a mero gestore dell’esistente e le cui classi dirigenti, soprattutto nel Sud e in città come la nostra, appaiono prive di qualunque orizzonte ideale, ma anche SEL sembra avvitata, almeno guardata dalla prospettiva beneventana, su se stessa, ennesima riedizione di partito dal grande orizzonte ma che poi sembra divenire più strumento di carriere politiche professionali che reale agente di cambiamento o di coinvolgimento (non per tutti ma per molti).
Per onestà intellettuale, essendo “partigiano” per natura, il mio discorso non è neutrale. Sono convinto che ci siano gli spazi perché alcune delle innovazioni del grillismo possano essere innestate in un progetto politico “di sinistra” (categoria sì novecentesca, anzi settecentesca, ad essere precisi, ma irrinunciabile se ricondotta alla sua ragione originaria). È su questo personalmente che intendo impegnarmi, non rassegnandomi alla politica come “professione”, come “gestione” delle risorse, insomma come deriva “elitaria”. Autori diversissimi (Mosca, Michels, la Weil) già nella prima metà del XX secolo avevo denunziato la inevitabile corruzione della forma partito come si andava strutturando in quegli anni. Noi assistiamo in diretta alla decomposizione di quella forma, che pure ha avuto grandi meriti non disconoscibili, nella storia contemporanea. Possiamo scegliere di tenerli in vita artificialmente o di lavorare, a destra e a sinistra, per innovare dalle fondamenta, nei contenuti e nei metodi, quegli strumenti. Ciascuno risponderà al futuro delle proprie scelte.
(tratto dal settimanale “Messaggio d’Oggi)