(BeneComune.info) – Cos’è il ciclismo? Tra scandali più o meno forti ci si chiede ancora cosa renda una gara ciclistica uno spettacolo unico. E quella che sta per arrivare di nuovo nel Sannio non è un una gara qualsiasi, è la gara per eccellenza, la più dura e spettacolare del mondo: il Giro d’Italia. E San Giorgio avrà la fortuna di ospitare il Giro per la seconda volta, dopo 25 anni, come città di tappa per la partenza di lunedì 14 maggio. Inoltre, domenica 13 la corsa rosa attraverserà il paese proprio all’inizio della diretta Rai.
Se dovessi spiegare cosa significa ospitare il Giro, direi che è come se venissero a organizzarti sotto casa una partita dei Mondiali di calcio. Con la differenza che non si paga il biglietto!
Questo sport non si può guardare solo con gli occhi del tifoso, non basterebbe a capirne la grandezza. Non c’è paragone con nessun altro sport perché nel ciclismo la gara prevale su tutto: sulle squadre, sugli atleti, sulle nazionalità. È uno sport dove si può anche avere simpatia per un grande campione, ma se uno sconosciuto sbuca dal gruppo, stacca tutti e va a vincere una tappa, il resto non conta più. Quel ragazzo sui pedali sarà un eroe, anche solo per un giorno. Il ciclismo è l’unico sport al mondo ad essere contemporaneamente di squadra ed individuale.
La squadra è difesa e attacco, dove lottano insieme due categorie di ciclisti: i campioni e i gregari. Ma non sono caste indiane, non c’è un etichetta che dice chi è il campione e chi il gregario. Solo madre natura e una passionaccia sconfinata possono determinare questi destini. Ma nel ciclismo i tifosi offrono applausi a tutti, anche all’ultimo arrivato, a cui va il merito di aver resistito fino alla fine sopportando una fatica incredibile.
Spesso i gregari si trasformano da brutti anatroccoli in cigni meravigliosi. La più famosa mutazione del Giro fu quella di un certo Fausto Coppi, gregario di un certo Gino Bartali. Nel lontano 1940 l’esordiente gregario, dopo una caduta del suo capitano, si alzò sui pedali e divenne un mito immortale. Qualche anno dopo un giornalista, commentando una fuga solitaria del Campionissimo di 192 chilometri, adoperò un’espressione entrata ormai nel linguaggio comune: “Un uomo solo è al comando”.
L’Olimpo del ciclismo è stacolmo di storie ed episodi di semidei immortali, dove lo sport diventa epica. Ne ricordo solo uno che mi fa ancora venire la pelle d’oca e i lucciconi. 1994, Giro d’Italia. Nella frazione dell’Aprica scattò sul Mortirolo un piccolo uomo spelacchiato e con orecchie enormi, si chiamava Marco Pantani. Lasciò dietro il russo Evgenij Berzin e lo spagnolo d’acciaio Miguel Indurain. Dopo aver preso fiato ed essersi fatto riprendere da Indurain, sul valico di Santa Cristina il “Pirata” riattaccò andando a vincere una tappa durissima. Quell’ultimo pezzo di tappa incollò allo schermo milioni di persone. Due extraterrestri si sfidavano su salite che sembravano muri. Due stili diversi, due atleti diversi. Indurain, un gigante di quasi un metro e novanta, incollato alla sella per far girare le gambe potenti come stantuffi. Pantani, un piccoletto di poco più di 50 chili, in piedi sui pedali a spingere la bici con una leggerezza prodigiosa. Uno sforzo incredibile che diveniva evidente nei tratti più ripidi, dove persino i tifosi assiepati lungo la strada faticavano a star dritti. E poi l’arrivo a braccia alzate di questo folletto incredibile che la sfortuna ha risucchiato via troppo presto. Chi non ha mai provato queste emozioni non può capire.
Il Giro è uno spettacolo incredibile. Un circo che si sposta in un giorno di città in città, montando smontando e rimontando un evento sportivo enorme, una grande macchina organizzativa. In poche ore si monta e smonta un vero e proprio quartiere: stand, tribune, palchi, per la partenza e per l’arrivo. Tra atleti, addetti ai lavori, accompagnatori, fotografi, giornalisti, sponsor, conta oltre 2 mila persone.
Non è un caso che un piccolo paese sannita ospiti per la seconda volta il Giro. La ragione sta in una tradizione ciclistica quarantennale, la cui massima espressione è Paolo Serino, un uomo che ha dedicato la vita a questo sport. È l’unico sannita in grado di alzare il telefono e parlare direttamente con gli organizzatori della Gazzetta dello Sport. E se il Giro torna a San Giorgio è merito suo, senza nulla togliere all’Amministrazione comunale, che ha dovuto affrontare un impegno notevole. E gliene va dato atto, a prescindere dalle simpatie politiche. Queste occasioni devono essere vissute come un patrimonio di tutti.
E poi ci sono gli appassionati. A San Giorgio c’è la più alta concentrazione di ciclisti e di cicloamatori del Sannio. Passione che nasce anche per merito del Giro e delle tante edizioni della Coppa Papà Espedito, che Paolo ha organizzato per 30 anni. La bellezza di tutto questo si può capire solo specchiandosi negli sguardi dei tanti bambini che hanno visto passare i ciclisti su viale Spinelli. E magari hanno frignato fino allo sfinimento per farsi comprare una bicicletta.
Pazienza se a San Giorgio sono spuntati gli immancabili criticoni. È la fisiologica stupidaggine che il buon Dio ha seminato in egual misura ovunque. Chi conosce la fatica della bicicletta è abituato a guardare sempre avanti, a stringere i denti, a rispettare il lavoro di tutti e ad alzarsi sui pedali quando la salita si fa davvero dura.
Per tutte le informazioni utili sulla presenza del Giro a San Giorgio: www.giroasangiorgio.it
“E ora mi alzo sui pedali come quando ero bambino / Dopo un po’ prendevo il volo dal cancello del giardino / E mio nonno mi aspettava senza dire una parola / Perché io e la bicicletta siamo una cosa sola / E mi rialzo sui pedali ricomincio la fatica / Poi abbraccio i miei gregari passo in cima alla salita / Perché quelli come noi hanno voglia di sognare…” (tratto da… E mi alzo sui pedali – canzone degli Stadio).