(Sanniopress) – Il Sannio e l’Irpinia sono un unico grande agriturismo in cui i napoletani in cerca di ristoro si possono recare nei fine settimana. Una sorta di piccolo mondo antico che grazie alla ristrutturazione di casali, alla riconversione di tenute agricole e alla pubblicità via web si fa conoscere e offre il suo piatto forte: l’enogastronomia. Chi sceglie di fare una gita fuori porta e va per le terre dei sanniti e dei longobardi lo fa con la consapevolezza di entrare in un mondo di pace e tranquillità nella campagna che già re Carlo e la sua discendenza amavano per le battute di caccia. Qui c’è ancora un mondo contadino che può offrire i suoi frutti con i prosciutti, l’olio, il vino e i formaggi e, insomma, è bello venire da queste parti perché si mangia, si beve e l’amore di fa. Sennonché, dietro questa vetrina, che è un luogo comune, c’è un retrobottega che non si mostra.
L’immagine del Sannio e dell’Irpinia come di “un mondo a parte” è triste e angosciante. L’Arcadia della Campania non è un’isola felice ma un mondo isolato la cui rappresentanza politica ama criticare il cosiddetto “napolicentrismo” per salvaguardare se stessa più che per tutelare le risorse locali materiali e morali. Il limite storico delle “aree interne” è sempre stato quello della separatezza e la politica piuttosto che aprirlo lo ha conservato e trattato come un feudo o una riserva. Oggi Sannio e Irpinia sono ricche di “vertenze”: l’area di crisi di Airola, gli operai rifiutati degli ex consorzi dei rifiuti, i forestali in sovrannumero che si vorrebbero deforestare, aziende ferme, ristoranti che chiudono e l’emigrazione che ritorna ciclicamente come unica risorsa di uscita, apertura e crescita. Il mito dell’isola felice è, appunto, solo un mito perché la realtà è il suo rovescio: un mondo chiuso in cui la rappresentanza politica racconta la storiella di Napoli madre e matrigna per evitare critiche, esami e quell’apertura al mondo che è il prezzo da pagare per conoscersi, crescere e irrobustirsi.
Il piccolo mondo antico, in realtà, ha sempre rifornito la grande capitale di beni materiali e immateriali. Anche oggi. L’arte contemporanea napoletana porta il nome del sannita Mimmo Paladino. Il maggior editore napoletano del Novecento ha il nome del caudino Riccardo Ricciardi. Il critico letterario di valore dopo Croce fu il Flora che venne da Colle Sannita. E si potrebbe continuare con altri nomi come i due Alfredi: Parente e Zazo. Ma si può continuare anche con i nomi della politica. Solo che qui accade il contrario: mentre la cultura si apre al mondo, la politica si chiude. Solo due nomi, tra i tanti. Ciriaco De Mita è stato segretario della Dc e presidente del Consiglio ma della sua stagione politica prima nazionale e poi regionale resta ormai solo un pallido e spesso discusso ricordo. Clemente Mastella ha tenuto su perlomeno due governi – D’Alema e Prodi – ma di lui si ricordano le truppe mastellate e la parata militare sul corso Garibaldi. Proprio come un feudo che ha la sua giurisdizione personale. Ecco perché oggi il Sannio e l’Irpinia per riscattarsi hanno imboccato la via enogastronomica. Tutti a tavola.
(tratto dal Corriere del Mezzogiorno)