(Sanniopress) – Se l’attuale crisi economica sta provocando nelle persone “sane” situazioni di squilibrio psichico tali da condurre sempre più spesso a gesti estremi quali il suicidio, si può immaginare quale perdita incolmabile può rappresentare la perdita del lavoro per persone già affette da disagio mentale per le quali il lavoro è anche una terapia. Ma l’aspetto più grave è che a Benevento e provincia, pazienti impegnati nel giardino del Dipartimento di Salute Mentale, nel laboratorio teatrale del Centro di salute mentale di Puglianello o in altre attività, da oltre 4 mesi non lavorano e non vengono pagati benché i fondi per remunerare il loro lavoro non manchino: sono solo bloccati dal nuovo management della Asl che da quando si è insediato ha paralizzato ogni attività del DSM. Come mai?
Certo, sapendo che la spesa per la salute in Italia è enorme – circa 54 % del totale – e che buona parte di questa spesa è “malasanità” – cioè, imbrogli, ruberie, cattiva gestione e sprechi – è apprezzabile il tentativo di ridurla. Ma occorre farlo in modo razionale seguendo un piano che tuteli la salute dei pazienti e tagli gli sprechi. Il che è possibile aprendosi alla concertazione, al dialogo, allo scambio di informazioni e alleandosi con chi – come la nostra associazione di familiari – è uno “stake holder” riconosciuto: cioè un portatore/difensore degli interessi degli utenti.
La nuova dirigenza della Asl, insomma, dovrebbe operare un po’ come abbiamo fatto noi 3 anni fa quando – con un consiglio direttivo rinnovato – studiando il budget del DSM ci rendemmo conto che era possibile migliorare i risultati terapeutici ed economici utilizzando sopratutto collaborazione costruttiva tra medici pazienti e familiari.
Ecco quali erano i principali problemi di allora :
• la gestione onerosissima delle SIR: piccoli manicomi situati in zone decentrate e distaccate dai centri di salute mentale di riferimento – come quella di Arpaise e di Sant’Agata dei Goti – che, al costo iperbolico di circa un milione di euro all’anno, ghettizzavano i ricoverati senza curarli perché all’interno non si faceva nessuna attività di recupero;
• il ricorso al classico “cibo manicomiale”: cioè l’acquisto a prezzi elevati di cibi prodotti industrialmente – quindi di livello basso – spesso rifiutati dagli utenti anche perché messi in tavola dopo 1 o 2 ore di trasporto in auto;
• carenze qualitative e quantitative delle attività di recupero dei pazienti i quali venivano “curati” soprattutto grazie ai farmaci – che non bastano, però, a restituire il paziente alla vita sociale, produttiva, “normale” – o spedendoli in cosiddette “case di cura” che spesso sono solo “manicomi” privati e convezionati ad altissimo costo: dalle 3.000 alle 4.000 euro al mese per paziente.
• inefficienza e degrado delle strutture per le urgenze ( SPDC );
• gestione verticistica da parte della direzione del DSM e della Asl dei fondi speciali CIPE per la salute mentale, e frattura operativa e culturale fra le varie Unità Operative (UOCSM) che compongono il Dipartimento: cioè, quella di Benevento, Puglianello, Morcone e Montesarchio-Bucciano;
• Unità operative brutte, degradate, prive di calore e di accoglienza, inadatte ad attirare i pazienti afflitti da una malattia che già li rende ostili alle strutture sanitaria e recalcitranti ad ogni cura: sedi operative, dunque, inadatte ad alleviare le sofferenze degli utenti che le frequentano;
• emarginazione da ogni sede decisionale di familiari e di volontari, portatori di interessi dei malati ma inascoltati solo perché figure “non istituzionali” : con la conseguente ghettizzazione dei malati il cui destino era determinato dall’Istituzione ( ASL o vertice del DSM ) e non dai loro bisogni fondamentali quali sedi idonee nei loro territori, mantenimento di relazioni con gruppi familiari e sociali di loro gradimento, attività di recupero ecc. Malati, insomma, che potevano essere deportati come pacchi da un “manicomietto all’altro” – da una Sir a un ospedale – esattamente come l’autorità giudiziaria sposta i detenuti da un carcere all’altro, senza nessun preavviso e senza essere interpellati.
Ecco, per esempio, lo squallido aspetto della sede del Dipartimento a Benevento e del suo “giardino” che all’epoca era una sorta di discarica:
In questi 3 anni, dunque, abbiamo lavorato con i medici e i tecnici su questi problemi ottenendo importanti risultati positivi. Ecco come si presenta oggi, per esempio, proprio la sede del DSM e il giardino intestato alla poetessa Alda Merini vissuta a lungo in manicomio. Grazie all’iniziativa del “balcone fiorito” e al recupero ambientale ottenuto utilizzando il lavoro regolare di molti pazienti, si è riusciti a trasformare uno spazio degradato in una sede amica e gradevole di attività di recupero e di integrazione con il territorio della città.
Quanto alle altre iniziative realizzate o in corso:
• le nuove case famiglia con la conseguente chiusura di alcune Sir ottenendo non solo grandi risparmi – costi più che dimezzati – ma soprattutto grandi miglioramenti terapeutici;
• il laboratorio “tutti pazzi per il teatro” che – a costo modestissimo rispetto ai risultati e alla quantità di pazienti coinvolti – ha avuto un tale successo, da rappresentare una delle più potenti armi contro lo stigma e uno degli strumenti più efficaci per l’integrazione e il recupero sociale dei partecipanti;
• il giardino adiacente al centro di salute mentale di Morcone che mira ad ottenere lo stesso risultato;
• la bozza definitiva del REGOLAMENTO del DSM discussa con sindacati, operatori e vertici della ASL – di cui debbono dotarsi per legge tutte le Asl ma che qui manca – per consentire una collaborazione ottimale, concertata e soprattutto trasparente della gestione della salute mentale
• l’avvìo di una programmazione e di una realizzazione non più verticistica dei progetti finanziati con fondi CIPE, fatta promuovendo la concertazione tra le varie unità operative del DSM e la nostra Rete Sociale per massimizzare le possibilità di integrazione e di lavoro dei sofferenti, prevedendo fra l’altro: l’ubicazione ottimale delle sedi delle SIR e delle UOCSM, nuove case famiglia, un progetto di cucina sul territorio affidato agli stessi pazienti altre attività economiche autogestite per creare posti di lavoro senza costi per la ASL.
Certo avremmo potuto fare di più se non ci fosse stato un continuo avvicendarsi alla dirigenza ASL di Commissari e se la collaborazione da parte del personale medico e sanitario, sia al vertice che alla base, fosse stata compatta. Ma si sa che interessi radicati, le differenze culturali e il diverso atteggiamento – appassionato o indifferente – che ciascuno mette nel proprio mestiere, spesso sono stati ostacoli non facili da superare. Ciononostante, i molti operatori competenti che ci hanno accolto calorosamente – non come “intrusi” ma come una “ventata di pulizia e di entusiasmo” – sono stati gli indispensabili e i migliori alleati nell’avviare una serie di iniziative: anche perchè sono animati dalla volontà di fare bene il proprio mestiere e di non essere accomunati a chi sfrutta i malati mentali in maniera cinica, egoista e clientelare.
(da I Lenzuoli bianchi di Benevento, blog della “Rete sociale” – Associazione familiari sofferenti psichici)