(Sanniopress) – Caro JP, approfitto della pausa domenicale (e del computer di casa libero: i figli smaltiscono, placidamente, il sabato sera) per rispondere alle sollecitazioni contenute nella lettera indirizzata – con un marchingegno retorico – a Giancristiano. In realtà, rivolta a tutti quelli contenuti nell’elenco. Tra i nomati, ci siamo anche noi (Marcello e io) che, almeno per alcuni aspetti della nostra attività, duali siamo. Ti anticipo subito che risponderò solo per un atto di amicizia e di gratitudine nei tuoi confronti. Se vuoi, per pura educazione. Apprezzo molto la tua volontà e il tuo impegno. In realtà, il merito del problema – “in questi giorni tristi”, giusto per citare “Morti di Reggio Emilia” – mi interessa solo relativamente. Anzi, ti dirò, non mi interessa affatto. Perché – ho impiegato un po’ di tempo, ma alla fine ci sono riuscito – ho imparato che il discorso “alto” che tu fai a proposito di un coordinamento possibile, intorno a un’idea di città, di tutti coloro che, in forme e ambiti molteplici, dedicano la loro esistenza a un progetto culturale, sia inutile, oltre che impossibile. “Naturalmente” (fùsei, direbbe il vecchio Aristotele) impossibile. Tu sai bene, caro JP, che nel mondo della musica, dell’arte, del teatro, della letteratura ci si è sempre abbracciati e baciati molto. Troppo, per i miei gusti. Ma, saprai anche bene quanto falsi e ipocriti – giustamente falsi e ipocriti, aggiungerei – siano quegli abbracci e quei baci. L’artista, il creativo, chi si mette in gioco con una pagina scritta, o sulle tavole di un palcoscenico o in un cd, è poco portato ad ammettere che ci possa essere un altro che, come lui messosi in gioco, risulti (o sia giudicato) magari più bravo o più capace di arrivare al cuore e alla mente di coloro cui ci si rivolge. Insomma, senza troppi discorsi alati, siamo ancora a quel detto popolare che i nostri genitori ci ripetevano, un giorno sì e l’altro pure: Ricordati, figliolo, che nessuno ti dirà mai: làvati la faccia così pari più bello di me!
Nemmeno io, come Nicola, intendo giudicare Nazzareno o Raffaele. Con il primo abbiamo creato e portato avanti nove edizioni di “Cantarpasqua”. Al di là delle rispettive, antagonistiche, posizioni politiche, e al di là della soggettività di Orlando, ci accomunava un elemento, non sempre nella giusta misura evidenziato o compreso, quello generazionale. Col secondo – che ritenne di dover chiudere quell’esperienza: non ho mai ben capito se per una sua scelta esclusiva o, semmai, per suggerimento interessato di qualcuno. Aggiungerò, per stare alla contemporaneità, ai tempi dei fratelli Mancuso, di Vincenzo Vitiello o di Rapsodhia Trio, Santa Sofia era ben affollata – abbiamo messo su, noi e Andrea Massaro, soltanto, con reciproca soddisfazione, credo, “Italia mai, benché il cantar”, uno spettacolo per i centocinquanta anni.
Quindi nessun giudizio perché, in buona sostanza, caro JP, in politica, a giudicare, sono i cittadini. Con il voto. E’ una legge dura, ma inesorabile.
Concordo con molte cose dette da Giancristiano e da Nicola (con i quali siamo impegnati in un progetto che non intende, per il futuro, certo limitarsi a un incontro – sia pure stimolante – mensile). Certo le pioggerelline dei finanziamenti fanno crescere voti ma producono poco o nulla. Certo: può capitare che Giovanna Marini racconti, in una chiesa di Benevento, il suo incontro con Pasolini e con il lamento funebre lucano e canti, con il suo quartetto, persone e storie del movimento popolare mentre assessore alla cultura è un esponente della destra. Ma, solitamente, scelte politiche e produzione culturali viaggiano “in direzione ostinata e contraria”. E così devono viaggiare.
Insomma io ho raggiunto il convincimento che il nostro unico compito sia, più che mai, quello di lavorare con serietà, giorno dopo giorno, intorno alle nostre idee e ai nostri progetti. Producendo risposte. Con la speranza che esse possano servire, sia pure in modestissima porzione, alla comunità di cui s’è avuta la ventura di far parte.
Non mi voglio, infine, sottrarre al gioco di Nicola circa il “se fossi assessore alla cultura…”. Prendo e faccio miei tutti i suoi punti. Ne aggiungo uno, molto concreto. Se fossi assessore alla cultura del comune o della provincia mi farei una sola persona, andrei in ginocchio da Tony Pappano, lo implorerei, mi batterei il petto, piangerei, utilizzerei tutte le mozioni degli affetti possibili.Una volta acquisita la sua disponibilità, dopo aver trovato un po’ di soldi, mi ritirerei in buon ordine.
Con l’affettuosa stima di sempre