(Sanniopress) – Intrigante installazione simbolica del maestro Mimmo Paladino, l’Hortus Conclusus è situato nel cuore della Benevento antica, a due passi dalla chiesa di Santa Sofia. Vi si accede attraverso il caratteristico Vico Noce, entrandovi attraverso un uscio racchiuso da un muro rosso, sul quale spicca un icona raffigurante Cristo con la croce in spalla. Presente in città dal 1992, è stato ristrutturato nel 2005 ad opera dello stesso Paladino. Ispirato agli orti della Genesi e del Vangelo, esso è situato non a caso in uno degli orti del Convento di San Domenico a Benevento. Su Internet è addirittura possibile una visita virtuale a 360 gradi, cliccando su questo indirizzo: http://www.visitare-benevento.it/hortus-conclusus-benevento. Mirabile sintesi di natura e arte, l’Hortus Conclusus vuole essere un luogo di ristoro, di calma e di pace, di meditazione per l’uomo alle prese con le difficoltà concrete della vita quotidiana e con quelle della propria interiorità. In questa galleria d’arte a cielo aperto le opere dell’artista – il Cavallo, che spicca su tutte, il Teschio, la Testa Equina, il Disco – creano un interessante contrasto con i resti di epoca romana sparsi sui prati, aprendosi a tutte le possibili interpretazioni. Ad ogni modo, un percorso iniziatico è ravvisabile dietro le installazioni artistiche, e comincia proprio dalla porta di ingresso. Appena sulla destra, dove sorge una fontana, si trovano sette alberi: due Yucca e cinque Palme di San Pietro, disposti in forma poligonale, i quali, come afferma lo scrittore Guido Verde (http://www.hortusbenevento.com/images/stories/articolo_hortus_2010.pdf), che ha dedicato un intero libro a questo capolavoro di Paladino, fanno pensare ad un Maestro, due Sorveglianti, due Compagni d’Arte e due Apprendisti. Questa prima metà dell’Hortus è più nascosta, discreta e poco esposta al sole. La seconda metà, cui si accede attraverso una piccola scalinata in pietra, è esposta al sole, aperta e ricca di sculture. Le tre pietre di silice collocate al lato della grata divisoria dei due settori, indicano le prime tre nobili verità del buddismo: la vita è dolore, c’è una causa del dolore, si puo’ scoprire la causa del dolore. Scoperta, quest’ultima, che consiste nel proprio egoismo che rende soli e ci fa smarrire in un Labirinto-Selva Oscura. Occorre quindi superare il proprio egoismo, intraprendendo un percorso di Luce, uscire dal Labirinto domando il Minotauro che si agita in noi. Il secondo settore inizia con otto pietre di silice, le quali indicano la resurrezione di Cristo, avvenuta nell’ottavo giorno dopo la sua crocifissione, ed inoltre rimandano al simbolo 8 come perfezione dell’universo, nonché agli otto angoli della croce dei Templari. L’ipertrofia dell’Ego è rappresentata dalla fontana squadrata sul davanti, con ai lati un tiglio ed un castano, che rappresentano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. Una situazione di apollinea pace e quiete, che ci fa dimenticare momentaneamente i dolori della vita, facendoci ritenere che le croci siano riservate solo agli altri. Pia illusione, in quanto la precaria condizione di equilibrio è destinata a rompersi, rivelando la nostra intima fragilità, rappresentata dai ruderi sparsi sul terreno. Il crollo del Tempio simboleggia, appunto, la fine delle nostre certezze. I frammenti sono distribuiti in un gruppo di 4 ed in uno di 5, che insieme danno il totale nove. Il nove indica la gravidanza, e quindi la temporalità dell’esistenza.
Imbocchiamo la stradina in discesa. Sulla sinistra si apre un angolo giardino con tre ulivi, ai piedi dei quali sono collocate tre pietre (Pietro, Giovanni e Giacomo). I due frammenti di colonna rappresentano la flagellazione di Cristo. Le pietre sparse e nascoste tra le canne di bambù, gli Apostoli vili che non hanno saputo difendere il loro maestro. Un percorso di pietre interrate nel terreno raffigura i soldati guidati da Giuda che si avviano verso il tiglio dai fiori bianchi, Cristo in persona, sui cui è reclinata una pianta, il Cercis Siliquastrum, detto volgarmente l’Albero di Giuda, nell’atto quasi di dargli il bacio traditore. L’insieme rappresenta la Passione di Cristo, e quindi il quotidiano portare la Croce, che, nell’Hortus, cade sul Noce vicino. Il cammino di salvezza sotto la guida della ragione è rappresentato da una grossa pietra tufacea (Virgilio), prima del monolite nero, simbolo di acquisizione della conoscenza razionale.
Il cavallo di bronzo che spicca sull’Hortus ha una maschera d’oro. Esso è evocativo della maschera di Agamennone e del mito del cavallo di Troia. Colori e odori indescrivibili sono formati dall’intreccio tra elmi, gigli, rose e palme. Completano il tutto fontane di formato umanoide.
Il luogo ospita da sempre incontri culturali di vario genere, tra i quali ci piace ricordare gli affollatissimi incontri di lettura nell’ambito di Città Spettacolo, dal titolo “Letture stregate”.
(foto di Lucia Gangale)